L'educazione ai media è un compito complesso e articolato. Questa pagina fornisce alcune indicazioni educative e una breve introduzione ai concetti chiave della cittadinanza digitale. È pensata per genitori di bambini e adolescenti che vogliono rendersi più consapevoli della loro vita digitale e di quella dei loro figli.
La prima mossa da fare per progettare una strategia educativa per l’uso dei media digitali dei nostri figli è rivedere i nostri comportamenti di adulti.
In primo luogo, niente smartphone a portata di sguardi durante i pasti, prima di addormentarsi in camera da letto, quando si rivedono i propri figli all’uscita da scuola. La pervasività dei device, soprattutto lo smartphone, rischiano infatti di mettere in secondo piano la relazione personale, innescando frustrazione nei più piccoli nel momento in cui la tecnologia sembra rubare l’attenzione dei genitori (un comportamento di distrazione dall’interlocutore che in gergo viene chiamato “phubbing”).
È importante quindi che il genitore protegga i momenti familiari dall’intrusione della tecnologia.
Il buon esempio dei genitori è fondamentale anche nella vita relazionale online, nella capacità di usare toni moderati e non offensivi e nella gestione della privacy propria e dei figli stessi (anche per questo motivo è importante non pubblicare foto dei figli sui social!). Riuscire a consolidare queste abitudini, sin dai primi anni di vita dei propri figli, significa porre le basi per un loro corretto uso degli strumenti digitali anche in periodi più delicati, come la pre-adolescenza e l’adolescenza.
Nei primi anni di vita, smartphone e tablet vanno introdotti gradualmente, affiancandoli ad attività pratiche manuali, e sempre sotto la supervisione di un adulto. La presenza dell’adulto è fondamentale sia per monitorare il tempo speso nell’uso di questi dispositivi ma soprattutto per verificare l’appropriatezza di applicazioni e contenuti, oltre che per offrire un modello di utilizzo positivo.
Quanto tempo i bambini possono stare davanti allo schermo? È difficile dare delle indicazioni nette ma, se si desidera un riferimento, la Società italiana di Pediatria (SIP) consiglia di evitare totalmente gli schermi nei primi 2 anni di vita, oltre che durante i pasti e prima di andare a dormire a qualunque età. Viene raccomandato di limitarne l'uso ad un'ora al giorno nei bambini tra i 2 e i 5 anni e a due ore giornaliere per quelli tra i 5 e gli 8 anni.
È bene che i dispositivi che si trovano in casa abbiano appositi blocchi che impediscono un uso non controllato e casuale ai più piccoli che li dovessero trovare in giro. È utile, in questa fase, anche l’installazione di appositi filtri famiglia (i cosiddetti filtri parental control), in grado di operare una selezione “a monte” di contenuti del tutto inappropriati per questa età.
L’arrivo dello smartphone dovrebbe avvenire in modo graduale. Più che l’età anagrafica, conta la capacità di gestire le diverse situazioni comunicative, relazionali e informative che avere uno smartphone comporta. Quando i genitori decideranno di fare questo passo, lo smartphone non andrebbe quindi consegnato e lasciato immediatamente sotto il controllo totale dei minori. In altre parole, lo smartphone è uno strumento molto potente che è necessario imparare ad usare correttamente, e ciò richiede esercizio. Fino a quando un figlio non è sufficientemente maturo e capace di controllarsi, lo smartphone potrebbe, ad esempio, essere “prestato” dai genitori e utilizzato per fini chiari (un gioco, un’applicazione, la partecipazione a una chat) e con tempistiche ben definite.
Il primo smartphone potrebbe poi beneficiare di connessione dati solo in casa e grazie alla rete wi-fi.
Una volta che il figlio/a riceverà uno smartphone personale e connesso sarà fondamentale concordare con lui/lei i tempi e i modi di utilizzo, valutando (almeno inizialmente) la possibilità di consegnare temporaneamente ai genitori i dispositivi nei momenti della giornata più delicati (come il sonno o lo studio).
Il fine di questo progressivo allargamento della sfera di autonomia sarà quello di sviluppare nel ragazzo o nella ragazza la capacità di autoregolarsi, sia rispetto ai contenuti e alle relazioni sia rispetto ai tempi e modi di utilizzo.
Bambini e ragazzi, ma in molti casi anche gli adulti, tendono a concentrarsi in modo eccessivo su attività ludiche (videogame, visione di video ecc.) o comunicative (chat, commenti e messaggi) ignorando alcune funzioni più complesse che possono essere incentivate da un uso familiare e finalizzato a obiettivi comuni. È molto importante valorizzare la Rete, mettendo in luce le sue potenzialità attraverso il co-utilizzo, cioè l’utilizzo condiviso. Per esempio, è possibile progettare insieme una vacanza con l’uso di mappe e applicazioni specifiche, oppure utilizzare un portale di visualizzazione 3D delle opere d’arte per rivedere assieme alcune sculture viste durante l’ultimo viaggio. E ancora: cercare informazioni per una discussione, scrivere un testo insieme, addirittura - per i più evoluti - programmare un software. Il co-utilizzo rappresenta una pratica benefica per lo sviluppo delle competenze digitali dei figli, ma anche per la possibilità di utilizzare il digitale per finalità positive e arricchenti. Uno degli obiettivi primari dell’educazione digitale, quindi, dovrebbe essere quello di stimolare la curiosità e creatività per aprire ai nostri figli le enormi potenzialità positive del mondo digitale. E questo, ancora una volta, rappresenta un’occasione di crescita per i genitori stessi!
Si parla molto di dipendenza da Internet, dagli smartphone e dai videogiochi. Fortunatamente, la dipendenza vera e propria riguarda una piccola minoranza di giovani. In questi casi, che dovrebbero essere trattati da specialisti competenti, si nota una vera e propria fuga dalla realtà negli ambienti digitali, abbandono degli interessi precedenti, isolamento sociale e pesanti conseguenze sul benessere psico-fisico.
La maggior parte dei ragazzi e delle ragazze tende solo ad un utilizzo eccessivo, che necessita di essere meglio regolato. Ciò soprattutto in alcuni momenti particolarmente importanti della loro vita quotidiana, innanzitutto il sonno e lo studio.
La riduzione delle ore di sonno è uno dei problemi principali connesso alla presenza degli smartphone nella vita degli adolescenti. Dormire bene e a sufficienza è importante in tutte le fasi della vita, ma soprattutto durante lo sviluppo. Tuttavia, l’adolescenza è anche uno dei periodi maggiormente critici per le relazioni sociali, che in questa fase sono spesso vissute molto intensamente. Gli strumenti digitali permettono di amplificare queste relazioni attraverso chat e messaggi, la cui mole giornaliera - unita alla portabilità dello smartphone - può portare un adolescente a spendere molte ore online, anche di notte.
Analogamente, i momenti dedicati allo studio a casa andrebbero protetti dalle continue intrusioni e interruzioni derivanti dalla vita sociale online. La ricerca empirica ha dimostrato che il multitasking (il tentativo di fare più cose nello stesso lasso di tempo) in realtà non funziona neanche per i più giovani “nativi digitali”, in quanto aumenta la probabilità di commettere errori e conseguentemente anche la frustrazione.
Anche i videogiochi possono diventare totalizzanti nella vita dei ragazzi perché stimolano la parte più emotiva del cervello. Vanno quindi stabilite regole chiare sull’uso. Ancora meglio sarebbe decidere insieme a loro tali regole, dopo una discussione in cui vengono soppesate le legittime esigenze dei ragazzi e le altrettante legittime preoccupazioni dei genitori. Una buona abitudine che si può instaurare insieme è sicuramente quella di fissare in anticipo tempi e spazi di utilizzo dei videogiochi. Oppure quella di riporre lo smartphone in un luogo comune nei momenti più delicati come la cena, durante alcune fasi dello studio o prima di andare a letto. Inoltre, per evitare l’ansia che deriva dalla privazione della possibilità di comunicare in tempo reale, i ragazzi possono avvisare i contatti più stretti che non saranno online per un periodo (ad esempio nelle successive due ore). In tal modo, essi limiteranno la cosiddetta FOMO (fear of missing out), cioè la paura di essere tagliati fuori da un flusso di comunicazione, oppure il timore di dare l'idea di una mancanza di interesse verso gli altri.
Il fatto che i più giovani siano molto abili a usare i device digitali non significa che essi siano anche in grado di mettere bene a fuoco i rischi legati a fenomeni come cyber-bullismo, sexting (l’invio di materiale sessualmente esplicito online), adescamento online e altre insidie della Rete. Mantenere aperto un canale di comunicazione sulla tecnologia in famiglia, quindi, è necessario per sviluppare senso critico nei ragazzi in grado di facilitare la prevenzione di queste problematiche. Perché ciò avvenga, tuttavia, si consiglia all’adulto di evitare di porsi come figura giudicante e proporsi invece come riferimento che, da un lato garantisce una supervisione rassicurante e, dall'altro, è interessato a capire la vita online del proprio figlio ed è in grado di offrire comprensione e aiuto. La ricerca mostra che il dialogo con genitori consapevoli aumenta la competenza digitale e la capacità di muoversi negli spazi online. Rispetto ai rischi citati, l’obiettivo di lungo periodo è lo sviluppo di un atteggiamento scettico e cauto rispetto a quello che si trova online, a quello che vi si scrive e a quello che vi si legge. Tale atteggiamento dovrebbe spingere i ragazzi a tenere sempre ben presente, per esempio, che non tutti i profili nei social sono veritieri, che mantenere privato un contenuto online è difficile e talvolta impossibile, o che il fatto che una notizia sia stata “girata” da un amico non significa che essa sia attendibile.
La comproprietà dello strumento e il co-utilizzo, di cui abbiamo discusso negli altri punti, possono essere funzionali proprio all’instaurarsi di un confronto abituale genitori-figli su questi argomenti.
Internet è la rete che connette i dispositivi e terminali digitali di tutto il mondo. Il World Wide Web, più comunemente “web”, è invece uno dei servizi di Internet (un altro per esempio è la posta elettronica), anche se è quello a cui più spesso si fa riferimento con la parola Internet. Il web è l’insieme dei siti e delle piattaforme navigabili tramite un browser, come ad esempio Chrome o Safari.
Una delle caratteristiche essenziali del web è la sua architettura aperta: tutti possono pubblicarci e spesso non c’è alcun filtro che controlla la qualità dei contenuti. Questo rappresenta il suo aspetto più “democratico” e affascinante, ma anche qualcosa di problematico, perché occorre porre molta cautela nella selezione e valutazione delle informazioni che vi si incontrano. Il fatto che un’informazione sia stata pubblicata su internet non rappresenta, in sé, una garanzia rispetto alla sua veridicità!
È molto importante trasmettere questo approccio ai più giovani che, se da un lato sono più abili nell’operatività con gli strumenti digitali, dall’altra hanno bisogno di guida nella valutazione critica di ciò che incontrano online. È bene educare ed educarci a farci sempre alcune domande di base di fronte ad un contenuto del web: Chi l’ha pubblicato? Che interesse ha? Che competenze ha sull’argomento?
Uno dei primi strumenti che vengono usati dai bambini sono i motori di ricerca. I motori di ricerca, ad esempio Google, Bing o Duckduck Go, sono dei software costruiti per la ricerca di siti e contenuti online nel web. Scrivendo una stringa di ricerca nell’apposito spazio, i motori di ricerca restituiscono una lista di risultati ordinati per rilevanza secondo i loro algoritmi di funzionamento.
Tali algoritmi utilizzano diversi criteri, ad esempio la quantità di link che rinviano a quel sito con le parole ricercate (cioè quanto esso è popolare).
Tuttavia, non è detto che i risultati che appaiono prima di altri siano maggiormente affidabili, di qualità superiore agli altri, o più corrispondenti alle nostre esigenze di ricerca. Ogni sito web, a prescindere da dove appare nella lista dei risultati, dovrebbe essere valutato in base a criteri come i) l’autorevolezza della fonte, ii) la natura commerciale o di pubblica utilità; iii) l’accuratezza delle informazioni, iv) la correttezza linguistica.
Wikipedia è un’enciclopedia lanciata nel 2001 e nata da un progetto molto ambizioso: permettere agli utenti di internet di condividere con gli altri le loro conoscenze, costruendo un’enciclopedia “universale” e gratuita che vorrebbe offrire un punto di vista neutrale. Nella maggior parte dei casi, ogni utente può creare, modificare o integrare una voce e il suo operato viene visionato dagli altri utenti. Wikipedia rappresenta una delle fonti informative più importanti e ricche del web, e alcune sue voci sono molto accurate e complete. Per questo viene spesso utilizzata per reperire velocemente informazioni, anche a fini educativi.
Ad ogni modo, è bene sempre tenere presente che talvolta questa piattaforma può anche contenere informazioni poco chiare e tendenziose, dato che si basa sul volontariato e che la sua architettura aperta può essere sfruttata per mettere in risalto o nascondere alcune informazioni. Per questo motivo, quando si tratta di approfondire un tema, per esempio per una ricerca scolastica, è sempre meglio verificare le informazioni trovate su Wikipedia con altre fonti che garantiscono una revisione scientifica degli argomenti e che sono considerate più autorevoli e neutrali.
Spesso nel web circolano notizie e informazioni non veritiere. Le troviamo in alcuni siti oppure ci arrivano direttamente come post sui social network (per esempio Facebook). Le motivazioni per cui alcune persone inseriscono tali contenuti on-line sono di diverso tipo. Quella più frequente è una motivazione di tipo economico: attirare tante persone sul proprio sito con una notizia molto sensazionale può fruttare molto attraverso la vendita di spazi pubblicitari. Tuttavia, qualcuno potrebbe essere interessato a diffondere una notizia non veritiera anche per motivazioni politiche, in modo da veicolare una certa lettura dei fatti d’attualità. Infine, potrebbe esserci anche chi diffonde “fake news” (così si chiamano in gergo le notizie false) per un semplice divertimento personale.
È sempre buona norma, di fronte a una notizia proveniente da una fonte non conosciuta, cercare la notizia su un motore di ricerca in modo da capire se altre testate più autorevoli l'hanno pubblicata. Per gli utenti che hanno un livello di competenza digitale più avanzato è possibile anche compiere altre ricerche, ad esempio caricare le immagini utilizzate nell'articolo in un motore di ricerca e verificare in quali altri articoli quelle immagini sono comparse. In questo modo è possibile ottenere informazioni utili per capire se una notizia è affidabile, a quando risale e se è stata riportata in modo obiettivo nell'articolo che abbiamo letto.
Le nuove tecnologie hanno ampliato enormemente l’intensità, le forme e la frequenza delle nostre comunicazioni, annullando per molti versi la distanza fisica tra le persone. Tuttavia, esistono delle differenze notevoli tra la comunicazione faccia a faccia e la comunicazione mediata. Nel primo caso, normalmente non ci sono tempi morti e la comunicazione procede in “tempo reale”, senza interruzioni, e con tutto il bagaglio di indizi non verbali (l'espressione del volto, i movimenti del corpo, il tono della voce).
Attraverso le tecnologie basate su invio di messaggi invece, spesso abbiamo più tempo per decidere che cosa comunicare, magari scegliendo accuratamente una emoticon che possa tradurre in modo semplice ciò che stiamo provando, e non possiamo contare sui canali non verbali di comunicazione. Uno dei risvolti più problematici della comunicazione digitale è quindi l’impossibilità di percepire immediatamente quale effetto ha il nostro messaggio sulla persona con cui stiamo parlando e rimodulare di conseguenza il nostro modo di esprimerci.
Se, nella comunicazione faccia a faccia, percepiamo immediatamente l’effetto del nostro messaggio e se ciò che stiamo dicendo annoia, diverte, imbarazza, ferisce o gratifica l’altra persona e attraverso l’empatia automaticamente proviamo noi stessi quelle sensazioni, la comunicazione digitale non permette ciò. Questa impossibilità di ricevere un feedback visivo immediato dell’effetto dei nostri messaggi è alla base di una delle distorsioni della comunicazione digitale, cioè l’hate speech (letteralmente, “discorso violento”).
Non vedere gli effetti di ciò che comunichiamo, infatti, può spingerci a esprimere le nostre emozioni negative senza alcun filtro e in modo talvolta violento. Uno dei modi per prevenire questo comportamento, che può essere facilmente insegnato e trasmesso, è immaginare sempre di comunicare personalmente, faccia a faccia, quello che stiamo scrivendo ad un’altra persona e riflettere con attenzione prima di rispondere a un messaggio. Inoltre, è bene educare i ragazzi (e noi stessi) a decidere quale situazione comunicativa è più adatta ad affrontare le diverse questioni, riservando il faccia a faccia alle questioni emotivamente più delicate.
I social network sono delle piattaforme online costruite per permettere agli utenti di creare dei profili online virtuali, attraverso cui socializzare con altre persone, anche scambiandosi materiali multimediali. Molti social network offrono agli utenti un “newsfeed”, cioè una sorta di bacheca virtuale, che viene aggiornata in tempo reale e dove gli utenti possono trovare i contenuti pubblicati dai loro contatti e interagire con essi. Gli utenti, inoltre, costruiscono un loro profilo digitale, che può essere mantenuto privato (permettendo solo alle persone accettate di accedervi) o pubblico. I social network oggi più diffusi sono Facebook, Instagram e Twitter.
Alcuni sono anche dedicati specificamente alle relazioni professionali come Linkedin. I social network sono degli strumenti utili per tenere i contatti con persone lontane, ma anche per veicolare una nostra identità digitale ad un pubblico vasto. L'uso dei social network di solito è gratuito ma, in realtà, i proprietari di queste piattaforme monetizzano la nostra presenza online senza che noi quasi ce ne accorgiamo. Essi, infatti, raccolgono i dati sul nostro comportamento online, cioè le nostre preferenze, i nostri click (che servono alle aziende per capire meglio come vendere i loro prodotti), e successivamente li vendono, oltre a vendere ad altre aziende delle inserzioni pubblicitarie a pagamento. Di conseguenza, i nostri newsfeed sono personalizzati, cioè tagliati su misura rispetto ai nostri gusti, e al loro interno sono messe in risalto le informazioni e i contenuti che possono interessarci e piacerci di più.
I social network, oggi, sono importanti strumenti per gestire una parte della nostra vita sociale e, se le reti sociali vengono costruite in modo mirato e consapevole, possono costituire importanti fonti di informazione.
Il cyberbullismo è una forma di bullismo che si realizza online attraverso ripetuti e sistematici atti aggressivi e denigratori. Esistono diverse risposte che occorre imparare a conoscere ed eventualmente a utilizzare nel caso capiti di subire comportamenti di questo tipo. Se le aggressioni riguardano ragazzi e sono isolate e non sistematiche (sostanzialmente, il caso più frequente), occorre segnalare l’accaduto agli adulti di riferimento, come i genitori o gli insegnanti.
Anche per questo motivo, è importante che questi ultimi mantengano sempre un canale di comunicazione aperto su questo tema, dimostrandosi disponibili al dialogo (vedi paragrafi precedenti). Una delle risposte immediate che è possibile dare al cyberbullismo, è il blocco dei contatti responsabili di questo comportamento sulle chat o sul proprio dispositivo, che in questo modo saranno “bannati” e, almeno nell’ambiente digitale, neutralizzati. Nel caso di comportamenti particolarmente gravi, che secondo gli adulti dovrebbero essere perseguiti penalmente, sarà importante provvedere al salvataggio dei messaggi e delle immagini attraverso screenshot.
Va, infine, sottolineato come in caso di atti di bullismo e cyberbullismo la responsabilità non sia solo di chi adotta comportamenti violenti ma anche di chi assiste a questi comportamenti senza opporsi, rischiando così di diventare un “gregario” del cyberbullo. A segnalare agli adulti i comportamenti violenti o persecutori, dunque, dovrebbe essere prima di tutto chi vi assiste.
Chiunque di noi veicola agli altri una immagine di sé, attraverso una serie di indicatori, come per esempio può essere un curriculum vitae. In rete, e in particolare sui social network, può capitare di lasciare tracce della propria attività che costruiscono una immagine di noi che non corrispondere a quanto vorremmo comunicare.
La letteratura sulle relazioni digitali ha messo in luce che i contenuti che noi pubblichiamo sono persistenti, cioè rimangono potenzialmente per sempre in rete, sono replicabili all’infinito, e sono anche ricercabili con mezzi automatici. In questa situazione, è chiaro che una volta pubblicato un contenuto sul web è molto facile perderne il controllo e talvolta può essere impossibile fermare la sua circolazione, anche se riteniamo che le persone a cui lo inviano siano fidate. È importante diventare consapevoli che la facilità e la velocità con cui una foto può essere “condivisa” con altri, in questo caso, risulta essere non solo una comodità ma anche un rischio. Inoltre, nonostante in età adolescenziale la prospettiva possa sembrare remota, va messo in rilievo il fatto che i potenziali futuri datori di lavoro sempre più spesso cercano informazioni online e visitano i profili dei social network dei loro candidati.
Questa pratica, oggi, è sempre più diffusa e rende necessario che i ragazzi costruiscano con attenzione la loro immagine digitale.
Grazie alle tecnologie digitali, attività come la scrittura di testi, la creazione di foto e video e altri materiali multimediali sono sempre più facili e immediate da svolgere. Ognuno di noi ha quindi la possibilità di dare libero sfogo alla propria creatività e di condividere con persone vicine e lontane ciò che ha creato.
Se in passato, nell’era della televisione o dei media a stampa, chi produceva contenuto faceva parte di una categoria professionale specifica con una specifica preparazione ed etica professionale, oggi tutti siamo sempre più dei prosumer (cioè “produttori-consumatori”) che non si limitano a usufruire dei contenuti ma che contribuiscono in modo attivo alla loro creazione e diffusione. Tuttavia, se le competenze tecniche per produrre e pubblicare un contenuto sono così diffuse, meno frequente è la competenza critica per immaginare le conseguenze che la pubblicazione del nostro contenuto ha per le diverse audience che lo vedranno.
Questa mutazione del mondo dei media ci rende tutti responsabili della qualità dell’infosfera, cioè l’ambiente mediale creato dalle informazioni e dai contenuti pubblicati in rete. Prima di pubblicare un contenuto nel web o di scrivere un commento, è bene quindi chiedersi se davvero ne valga la pena e se costituisce un contenuto di qualità, tenendo sempre presente che esso sarà visto da un pubblico potenzialmente molto vasto e con background culturali, aspettative e modi di vedere il mondo molto diversi.
Il web (e in particolare il web 2.0) offre a tutti noi diversi strumenti, canali e piattaforme per esprimerci. Principalmente, queste ultime sono i siti internet, i social network e i blog. I social network sono delle piattaforme online che permettono la realizzazione di reti sociali virtuali, all’interno delle quali è possibile comunicare e condividere contenuti di diverso genere (video, foto, link, testi, ecc.). Oltre ai social network, che sono una delle piattaforme più diffuse tra i giovani, esistono anche i siti internet e i blog. I blog, in realtà, sono un tipo particolare di sito web, che viene per lo più usato come sito personale e in cui i contenuti vengono visualizzati cronologicamente a partire dai più recenti. Un’altra peculiarità dei blog che li differenzia dai siti web tradizionali è che essi danno molto spazio ai commenti dei visitatori, che possono interagire facilmente.
Grazie a strumenti come Wordpress, Google Site o Joomla, negli ultimi anni aprire un sito internet è sempre più facile e meno costoso. Per i genitori più esperti che hanno un livello di competenza digitale avanzato, aprire un sito web o un blog assieme al proprio figlio - magari sul loro hobby preferito - può costituire un’ottima occasione di co-utilizzo della tecnologia (vedi voci precedenti).
Infine, esistono piattaforme specializzate nella pubblicazione di forme specifiche di espressione come racconti, fumetti, musica o poesia.
Il fatto che il web sia un ambiente aperto in cui gli utenti condividono diverse tipi di contenuti non significa che questi materiali possano essere liberamente riutilizzati. Alcuni contenuti che vengono pubblicati sono protetti dal diritto d’autore. Di conseguenza, si viola il diritto d’autore quando si utilizza un contenuto protetto senza aver ottenuto l’autorizzazione dal titolare dei diritti.
Se, ad esempio, scarichiamo un’immagine online che è protetta e la riutilizziamo nel nostro sito, stiamo violando il diritto d’autore. Per evitare ciò, è possibile riconoscere i contenuti che sono liberamente riutilizzabili ricercandoli nei motori di ricerca. Su Google immagini, ad esempio, cliccando il tasto “impostazioni” appariranno diverse opzioni modificabili tra cui i “diritti di utilizzo”. In questa sezione, sarà possibile selezionare da tutte le immagini disponibili solo quelle che sono state “contrassegnate per essere riutilizzate” e che quindi non sono protette da copyright. Così facendo saremo più sicuri di diffondere contenuti creati usando materiale preesistente senza incorrere in problemi legali.
Prima di creare un contenuto e pubblicarlo online è bene sempre chiarire alcuni punti fondamentali. A chi intendiamo rivolgerci? Da questa domanda e dalla diversa audience che cerchiamo di raggiungere dipenderà il registro comunicativo che sceglieremo di adottare. Se, ad esempio, stiamo utilizzando un social network professionale (come Linkedin), e speriamo che un potenziale datore di lavoro noti un post in cui mettiamo in evidenza un nostro successo lavorativo, il nostro registro comunicativo sarà ovviamente più formale rispetto a quello che avremmo usato in un social network non professionale (ad esempio Facebook) in cui comunichiamo solo con amici più stretti.
Con l’intensificarsi dell’uso dei social, che possono mettere in contatto contatti appartenenti ad ambienti diversi (cerchie amicali più o meno strette, conoscenti, contatti professionali), sta sempre più diventando fondamentale la capacità di restringere l’audience di riferimento in base al tipo di messaggio mediante appositi filtri.
L’importanza della privacy deriva dall’esistenza di rischi connessi alla diffusione delle nostre informazioni personali. Un primo esempio è il rischio che le informazioni che forniamo online possano essere usate da terzi per fini illegali o che ci danneggiano. Ad esempio, un nostro post pubblico in cui annunciamo la partenza per le vacanze potrebbe essere utilizzato da dei malviventi per sapere quando non siamo a casa e magari e organizzare un furto. Un secondo rischio deriva dal potenziale uso che le grandi aziende possono fare della grande mole di dati che forniamo ad esse ogni giorno. Lo scandalo Cambridge Analitica, per esempio, è nato dal sospetto che le informazioni che gli utenti hanno dato di loro stessi attraverso social network come Facebook potessero essere utilizzate per favorire una parte politica.
Grazie a queste informazioni, infatti, si sospettava che l’azienda in questione avesse indirizzato dei messaggi personalizzati in grado di far leva sui sentimenti personali degli utenti per spingerli a votare in un determinato modo. Senza che ce ne accorgiamo, quindi, i nostri comportamenti online possono essere studiati e usati per spingerci verso l’acquisto di certi prodotti o verso un tipo particolare di comportamento. Purtroppo, negli ultimi cinquant’anni le scienze cognitive hanno dimostrato che il nostro comportamento è molto più influenzabile di quanto vorremmo pensare.
Ciò è particolarmente delicato per chi spende online moltissime ore: la nostra capacità critica deve essere sufficientemente sviluppata per non divulgare informazioni sensibili che potrebbero essere utilizzate in modo pericoloso in futuro. Gran parte della responsabilità rispetto alle possibili manipolazioni nell’uso dei dati è in mano alle aziende, ma dobbiamo educare (ed educarci) a ridurre al minimo le informazioni sensibili personali che pubblichiamo online e ad essere consapevoli che tutto ciò che facciamo è facilmente tracciabile.
Come dovrebbe essere chiaro ad ogni cittadino che vive in una società digitalizzata, in Internet non tutto è ciò che appare. Facciamo alcuni esempi. La mail che annuncia la vittoria di centinaia di migliaia di euro, in realtà, può contenere un link che infetterà il PC con un pericoloso virus informatico.
La richiesta di contatto in un social network da parte di un giovane modello o di una giovane modella bellissimi e dall’aria così simpatica, che non conosciamo minimamente, proviene quasi certamente da qualcun'altro, ecc. Quando un messaggio, una richiesta di contatto, un banner, un avviso, sembrano “troppo belli per essere veri”, probabilmente non sono veri affatto. Dobbiamo abituarci ad adottare un atteggiamento scettico e a non seguire la nostra tendenza congenita a voler credere alle informazioni che ci gratificano e che ci fanno piacere.
Esiste anche la possibilità che qualcuno possa impadronirsi delle password di accesso ad un profilo social di qualcuno per mandare messaggi a suo nome. Questo viene fatto a fini commerciali, per perpetrare truffe informatiche o semplicemente per diffamare qualcuno. Ecco perché occorre proteggere adeguatamente le proprie credenziali di accesso ai diversi servizi e segnalare subito ai conoscenti se stanno arrivando messaggi insoliti da parte loro.
Negli ultimi anni si sono diffuse molto le transazioni elettroniche, per acquistare beni e servizi online. Qualora esse debbano avvenire in un sito sconosciuto è necessario sempre verificare che il negozio fornisca tutte le informazioni principali, come un numero di telefono di riferimento, la descrizione dettagliata del prodotto e del tipo di spedizione, le condizioni di vendita, ecc.
Attraverso un motore di ricerca generico, è poi possibile verificare se il negozio ha ricevuto delle recensioni da altri utenti. È consigliabile evitare di eseguire pagamenti online con carta di credito attraverso PC condivisi o reti pubbliche e controllare che il sito utilizzi sistemi di sicurezza internazionali. Per verificarlo si può analizzare l’indirizzo del sito, nel quale dovrebbe apparire la dicitura https:// prima del sito (la “s” significa “secure”). Quando ciò avviene, compare anche l’immagine di un lucchetto che precede l’URL nella barra degli indirizzi.
Con l’arrivo dello smartphone personale anche i più giovani si confrontano il mondo delle transazioni online, attraverso la possibilità di personalizzare i propri dispositivi installando App e servizi aggiuntivi. È bene tenere presente, che alcune di queste App sono a pagamento e che il loro acquisto dovrebbe essere sempre concordato assieme ai genitori.
La password rappresenta il principale sistema di protezione dei nostri dati online, e deve essere usata nel miglior modo possibile. Vanno evitate password che contengono dati personali facilmente individuabili (date di nascita, nomi di figli o parenti, ecc.) e vanno invece costruite password complesse che contengono sia lettere maiuscole che lettere minuscole, numero o simboli. Altro accorgimento che va adottato, è quello di evitare l’uso della stessa password per molti siti o account.
Ovviamente, ciò rende molto difficile memorizzare le nostre password, che sono sempre più numerose e necessarie per accedere a molti siti e servizi. Diverse strategie possono essere usate per ovviare a questo problema: ad esempio si possono scrivere le password in un file a sua volta protetto da password, oppure ci si può affidare a servizi online di memorizzazione e gestione password. Questi servizi hanno un piccolo costo mensile ma offrono un servizio comodo caratterizzato da un alto livello di sicurezza.
Le tecnologie moderne ci offrono grandi opportunità di comunicazione, informazione espressione di sé e svago ma sono talmente pervasive da rischiare di invadere la nostra quotidianità e di risultare controproducenti. Soprattutto le tecnologie mobili come lo smartphone ci pongono in una condizione di “sovrabbondanza comunicativa permanente”, in cui siamo costantemente inseriti in un flusso di comunicazione che supera le nostre capacità di gestirlo.
Alcuni recenti studi (si veda ad esempio OFCOM 2017) hanno messo in evidenza come buona parte degli utenti oggi percepisca di non riuscire a limitare adeguatamente il proprio uso dei dispositivi digitali. In altre parole, molti di noi ritengono di usare troppo queste tecnologie, oppure troppo per alcune attività a scapito di altre, e questo può danneggiare il nostro benessere.
Usare le tecnologie molte ore al giorno può spingerci ad assumere posture che, alla lunga, sono dannose per la nostra salute. I problemi riportati sono soprattutto a carico della schiena e del collo. Occorre avere alcuni punti di riferimento per assumere una corretta postura quando si lavora al computer (su questo punto si veda questa pagina). Occorre anche essere consapevoli che il prolungato utilizzo dello smartphone tenuto in mano e con la testa piegata in avanti può causare problemi a livello del collo.
Un altro punto fondamentale che concerne le possibili ripercussioni della tecnologia sulla nostra salute riguarda l’affaticamento degli occhi. La stanchezza e l’affaticamento della vista, l’eccessiva secchezza oculare e la difficoltà a mettere a fuoco a distanze diverse sono state spesso messe in relazione all’utilizzo massiccio degli schermi.
Inoltre, è anche da tenere presente che la luce degli schermi può interferire con l’equilibrio sonno-veglia. Il nostro corpo, infatti, ha un meccanismo di auto-regolazione attraverso cui aumenta la produzione di melatonina (che è l’ormone del sonno) nelle ore di buio. Diversi studi scientifici recenti hanno messo in luce come l’esposizione alla luce degli schermi in orario notturno, e in particolare alla cosiddetta “luce blu” che essi emettono, può interferire con questo meccanismo inducendo un sonno meno profondo e meno rilassante. Per questo motivo, è bene cercare di evitare il più possibile l’esposizione agli schermi prima di andare a letto, soprattutto per i bambini, e utilizzare la funzione di “protezione occhi” (per chi ha Android) o “modalità notte” (per chi ha iOs) in orario serale.
Lo stress è una risposta fisiologica a una richiesta esterna. Quando dobbiamo risolvere un problema o svolgere un compito, possiamo dire di essere “sotto stress”. Lo stress non è di per sé negativo, perché una sua dose non eccessiva ci attiva e ci stimola. Il problema è quando tale dose supera una certa soglia, diventando così qualcosa che peggiora le nostre performance e produce sensazioni negative. La mole di informazioni e messaggi che vengono ricevute, e inviate, attraverso le nuove tecnologie può costituire una fonte di stress, nella misura in cui i fatichiamo a tenerla sotto controllo.
Questo stato di stress può essere aumentato dal cosiddetto “multitasking”, cioè il tentativo di fare più cose nello stesso lasso di tempo. Ciò in quanto il nostro cervello è costruito per distribuire l’attenzione solo su un compito per volta. Cercare di fare più cose in poco tempo, di conseguenza, significa forzarlo a lavorare oltre le sue capacità, spostando di continuo il focus dell’attenzione da un’attività ad un’altra.
Il risultato è duplice: da un lato peggioriamo le nostre performance, cioè la qualità con cui stiamo svolgendo un’attività, dall’altro lato il livello di stress troppo elevato crea sensazioni negative. Agli adulti, ciò accade per esempio quando provano a scrivere un messaggio durante la guida. In questo caso, il tentativo di fare multitasking si traduce in un rischio per l’incolumità, perché la qualità della guida e l’attenzione ai pericoli diminuisce in modo drastico durante questa pratica.
L’aumento degli incidenti stradali registrato negli ultimi anni è in parte causato da questa abitudine che può essere mortale. Educare i ragazzi e noi stessi a fare una cosa per volta quando necessario, quindi, serve a garantire una diminuzione dello stress, a migliorare le loro performance e ad evitare rischi per la propria salute fisica e psichica.
Nell’ottica di raggiungere un rapporto equilibrato con il nostro “screen-time”, esistono strumenti software che registrano e ci comunicano periodicamente il tempo e il mondo in cui stiamo online. Questo tipo di applicazioni possono essere molto utili quando occorre ripensare il proprio utilizzo dei media digitali, soprattutto quelli mobili. Alcuni nomi noti in questo settore sono RescueTime, Time, Moment. Spesso queste app consentono di tenere traccia sia del tempo speso con lo smartphone sia di quello passato al pc o al tablet, sommandoli oppure analizzandoli separatamente.
Oltre alle app e ai software, sempre di più le funzionalità di monitoraggio del tempo online sono integrate nei sistemi operativi degli smartphone. Gli IPhone, ad esempio, consentono già di controllare il tempo speso sullo strumento negli ultimi sette giorni, compresi i minuti dedicati alle diverse app. Anche Google ha ora introdotto una simile funzionalità all'interno del nuovo sistema operativo Android, a riprova che questa tematica è ormai centrale per le grandi aziende del web.
Sul lungo periodo, occorre tuttavia equilibrio nel non fare della gestione del tempo online un’ulteriore misurazione stressante di performance. In questa prospettiva, l’utilizzo di questi strumenti deve aiutare a raggiungere una propria autonoma capacità regolativa.
Questa sezione è stata redatta con la consulenza scientifica di Marco Gui e Marco Fasoli, Centro di Ricerca “Benessere Digitale”, Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell'Università di Milano-Bicocca.
I riferimenti principali su cui sono costruite le voci si trovano nella bibliografia.
Carretero Gomez S., Vuorikari R., Punie Y. (2017), DigComp 2.1: The Digital Competence Framework for Citizens with eight proficiency levels and examples of use.
Gui M. (2014). A dieta di media. Comunicazione e qualità della vita. Il mulino
Pellai, A. (2015). Tutto troppo presto. L'educazione sessuale dei nostri figli nell'era di internet. De Agostini
Piazza, D., Bonanomi, G., Sala, M. (2016), Navigazione familiare, Ledizioni
Rheingold, H. (2013), Perché la rete ci rende intelligenti, Raffaello Cortina.
Tisseron, S. (2016). 3-6-9-12. Diventare grandi all'epoca degli schermi digitali, La Scuola.