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Storia dei supporti per l'archiviazione dati

Dagli inizi con le schede perforate, sino ad arrivare al cloud storage. Ecco tutti i passaggi fondamentali della storia dei supporti per l'archiviazione dati

Un disco SSD, ultima frontiera degli hard disk

A voler esagerare, si potrebbe tornare indietro di quasi duecento anni. Al tempo in cui le melodie dei pianoforte automatici venivano registrate su schede perforate e lasciate suonare automaticamente negli accaldati saloon del far west. Si andrebbe, però, sin troppo in là con il tempo e si andrebbe un po' troppo fuori tema. Le schede perforate, però, fanno parte della storia che stiamo per raccontare: quella dei supporti di archiviazione di massa in ambito informatico.

Gli anni 40. Le schede perforate

 

Il Colossus e i nastri cartacei perforati

 

Agli albori dell'informatica, il salvataggio e la conservazione dei dati era affidato ad un complesso sistema di schede perforate. Queste, date “in pasto” ai prima calcolatori elettromeccanici realizzati, permettevano di eseguire programmi, salvare dati e riprendere il lavoro dal punto in cui ci si era fermati nella sessione precedente. Rappresentavano, nel modello della Macchina di Turing, la memoria di lavoro sulla quale la macchina legge e trascrive dati e informazioni necessarie all'esecuzione del programma.

I primi nastri cartacei perforati – estensione fisica e concettuale delle schede perforate – vennero utilizzati nel corso della Seconda guerra mondiale, quando gli Alleati utilizzarono i primi calcolatori informatici per decifrare i codici crittografici della marina e dell'aviazione tedesca.

Prima metà anni '50. Il nastro magnetico

 

I nastri magnetici dell'UNIVAC

 

Nel giro di qualche anno il nastro cartaceo si trasformò in nastro magnetico. Si tratta di un lungo nastroo di materiale plastico ricoperto di un ossido magnetico e capace di archiviare una grossa quantità di dati su una singola bobina. I primi vennero utilizzati dall'UNIVAC, un computer da 750 mila dollari. Ha avuto il merito di velocizzare il processo di creazione, conservazione e lettura dei dati, rivoluzionando l'industria audiovisiva a cavallo tra gli anni '50 e gli anni '60. Ogni singolo nastro era in grado di contenere sino a 225 kilobyte, equivalente di 1.920 schede perforate.

Seconda metà anni '50. L'hard disk

 

Un moderno hard disk

 

Nel 1956 fece la sua comparsa il primo disco rigido della storia. Era composto, esattamente come gli attuali, da dischi ricoperti da materiale magnetico, fatti girare a gran velocità. A differenza del nastro, i dati potevano essere letti e scritti in qualsiasi ordine e non necessariamente in ordine sequenziale. Ideato dalla IBM, conteneva sino a 5 megabyte di dati, equivalente a circa 23 nastri magnetici.

Anni '70. I floppy disk

 

Floppy Disk

 

I primi floppy disk fecero la loro comparsa nei primi anni '70. Si trattava di grossi dischi (8” di diametro, circa 24 centimetri) di materiale plastico ricoperto da materiale magnetico. Non avendo nessuna copertura, su sporcavano facilmente, divenendo presto inutilizzabili. Con gli anni subirono un processo di rimpicciolimento e vennero ricoperti da una custodia di plastica a protezione dai fattori esterni (polvere, acqua, ecc.). Mentre il primo floppy conteneva appena 80 kilobyte, nella loro forma più avanzata (formato da 3,5 pollici) arrivano a contenere 1,44 megabyte.

Anni '80. I CD-ROM

 

CD-ROM

 

Nato a metà degli anni '80, il CD-ROM (acronimo di Compact Disc – read only memory, disco compatto – memoria di sola lettura) è un'evoluzione dei CD utilizzati in precedenza per conservare dati di formato testuale e grafico. Il formato originale di conservazione dei dati venne ideato da Sony e Philips, ma venne rivisto negli anni successivi. Il cosiddetto Mode 1 permetteva di salvare dati informatici, il Mode 2 dati musicali o di tipo grafico. Ogni CD conteneva sino a 700 megabyte, equivalente di 486 floppy disk.

Anni '90. I DVD

 

Particolare della superficie di un DVD

 

Fisicamente identici ai CD-ROM, i DVD fecero la loro comparsa a metà degli anni '90. Utilizzando materiali differenti per il salvataggio dei dati e differenti tecniche di lettura e scrittura dei dati, contengono molte più informazioni rispetto ad un singolo CD. Con i suoi 4,7 gigabyte di capienza, equivale a circa 7 CD-ROM.

Prima metà anni '00. La chiavetta USB e la memoria Flash

 

Chiavetta USB

 

Dispositivo di archiviazione di massa “plug-and-play” (letteralmente, attacca e utilizza), dotato di memoria Flash e interfaccia Universal Serial Bus (USB), le chiavette USB ebbero immediatamente un gran successo grazie alla loro portabilità (grandi come un accendino e pesanti poco più di 30 grammi) e alla possibilità di scrivere e cancellare i dati a proprio piacimento. Oggi le chiavette USB arrivano a contenere sino a 125 gigabyte di dati, equivalenti a circa 140 DVD.

Seconda metà anni '00. Il cloud storage

Da qualche anno a questa parte i supporti per la conservazione dei dati si sono smaterializzati. Complice la sempre maggiore diffusione di Internet e la necessità di poter accedere ai propri file da qualunque luogo e in qualsiasi momento, l'archiviazione dati ha fatto un salto... sulla nuvola.

 

Cloud Storage

 

Dalla seconda metà dello scorso decennio sono sorti sempre più servizi di cloud storage, che offrono la possibilità all'utente di salvare i propri dati online e di accedervi da qualunque luogo dotato di una connessione al web. Tutto ciò di cui si ha bisogno, infatti, è un dispositivo informatico (non solo un computer, ma anche uno smartphone o un tablet) e un collegamento Internet: accedendo al proprio account di cloud storage si potranno consultare i file già presenti o crearne altri. Secondo alcuni calcoli, nel cloud risiederebbero sino a 1 exabyte di dati (1 trilione di byte, equivalente ad un 1 milione di terabyte), più o meno come 500mila hard disk da 2 terabyte; 8 milioni 192 mila cihavette USB da 125 gigabyte; 218 milioni circa di DVD e 9 milioni di miliardi di schede perforate.

A cura di Cultur-e
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