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Legge di Moore morta, si apre la caccia alle alternative

Nella nuova roadmap SIA lo sviluppo dei processori per PC e smartphone non seguirà più quanto previsto dall'informatico statunitense nel 1965

Legge di moore addio

I molti che ne profetizzavano la "morte" da molto tempo a questa parte hanno finalmente una data da aggiungere a un'eventuale epigrafe da scrivere e far pubblicare su riviste e giornali di settore. La legge di Moore è morta e la sepoltura è avvenuta nel marzo 2016 a opera della Semiconductor industry association, ente che raggruppa tutte quelle aziende e organizzazioni interessate, a vari livelli, alla produzione di chip e microprocessori.

 

 

Nella roadmap 2016, la SIA prevede per la prima volta che lo sviluppo delle nuove CPU e dei nuovi SoC non seguirà più i ritmi imposti dall'ingegnere statunitense: niente più raddoppio dei transistor ogni 18 mesi, ma progressi più blandi in nome di una maggiore attenzione alle app e ai software. E se si cerca un colpevole non si può che guardare in un'unica direzione: la fisica. A frenare lo sviluppo dei chip hanno concorso l'effetto Joule che lega la produzione di calore al passaggio di corrente elettrica all'interno dei circuiti stampati; e le leggi della quantistica che mettono un freno alla miniaturizzazione dei circuiti stampati.

La legge di Moore

Appena 50enne, la legge di Moore stabilisce che il numero dei transistor e la potenza di calcolo dei processori è destinata a raddoppiare ogni 18 mesi. Si tratta di un assunto a metà tra l'empirico e il "previsionale": quando Gordon Moore la formalizza in un articolo del 1965, lo sviluppo dei processori basati su transistor e circuiti stampati è nella sua fase iniziale e nessuna delle tecnologie che oggi li utilizza era ancora stata pensata. L'allora ricercatore di Fairchild Semiconductor si basa sui dati di produzione dell'azienda per cui lavora e di altre aziende attive nello stesso settore per calcolare e prevedere i ritmi di sviluppo del settore dei transistor.

 

legge di moore

 

Più che una vera e propria legge statistica, dunque, quello di Moore può essere visto come un tentativo di fornire una cronologia per lo sviluppo futuro della tecnologia. E ci riesce con apparente semplicità. È lo stesso Moore, nello stesso paper in cui enuclea la sua legge, a prevedere l'utilizzo di microchip sempre più piccoli e potenti all'interno di personal computer, orologi digitali, automobili automatizzate e "dispositivi portatili di comunicazione". Ovvero, gli smartphone.

Niente di inevitabile

 

tutto cambia legge di moore

 

Detto ciò, bisogna notare che nella legge di Moore non c'è niente di inevitabile. Sono stati gli stessi produttori di chip ad "autoimporsi" di rispettarne i dettami e raddoppiare il numero di transistor per ogni singolo chip. E se fino all'inizio degli anni '90 tutte le aziende sono state in grado di seguire questo trend senza apparenti difficoltà, è a cavallo tra prima e seconda metà del decennio che sorge la necessità di un "piano generale" che guidi lo sviluppo dell'intero settore: nasce così la roadmap che SIA redige e rilascia a cadenza biennale. Grazie a questo documento, centinaia di produttori in tutto il mondo "forzano" i loro ritmi produttivi per rispettare le previsioni della legge di Moore e presentare chip con un numero sempre più elevato di transistor (atteggiamento definito, spesso e volentieri, more Moore).

Rivoluzione copernicana

Dal marzo 2016 non è più così. La roadmap distribuita nel corso dell'evento SIA, infatti, non sarà più basata sui dettami della legge di Moore, ma seguirà altre regole legate agli sviluppi odierni del mondo informatico. Anziché realizzare chip sempre più prestazionali e creare degli applicativi che possano sfruttare questa "potenza bruta", la SIA partirà dalle esigenze delle software house e degli sviluppatori per determinare le tipologie di chip e processori che dovrà sviluppare. Si tratta di una variazione di prospettiva (a suo modo) copernicana: al centro dell'universo non ci sono più i processori, ma al loro posto troviamo applicativi e software di varia natura.

 

nuova roadmap legge di moore

 

Ciò, ovviamente, non vuol dire che il progresso tecnologico si arresterà improvvisamente, anzi. Come si affrettano a dire i vertici SIA, i processori del futuro saranno in grado di sfruttare in maniera più efficiente il loro potenziale di calcolo e fornire ugualmente "potenza bruta" a software sempre più esigenti.

I limiti della legge di Moore

Due i fattori che hanno impedito ai produttori di microchip e processori di seguire i dettami della legge di Moore. Prima di tutto, il calore. Dai primi anni 2000 i produttori di chip hanno iniziato a sviluppare tecnologie produttive inferiori ai 90 nanometri, facendo sì che gli elettroni riuscissero a spostarsi più velocemente all'interno dei transistor. Questo però, ha provocato un aumento delle temperature dei microchip, tanto che ben presto la situazione è diventata presto ingestibile, nonostante le innovazioni portate nel campo dei sistemi di raffreddamento.

 

i limiti della legge di moore

 

Il "sovraffollamento" che si è venuto a creare all'interno dei chip è il secondo fattore che ha decretato, di fatto, la morte della legge di Moore. Oggi le CPU di ultima generazione sono realizzate con tecnologie produttive di 14 nanometri, ma lo spazio all'interno dei wafer di silicio sta per terminare. Come sottolineano i vertici SIA, si potrebbe anche arrivare a produrre microchip con circuiti grandi una manciata di nanometri (2 o 3, ovvero una decina di atomi di silicio in fila), ma a questo punto le interazioni e gli spostamenti degli elettroni sarebbero guidati dalle leggi della quantistica. Il comportamento dei microchip, quindi, diventerebbe imprevedibile, mettendo a rischio il funzionamento stesso del sistema informatico.

Gli adattamenti della legge di Moore

Per ovviare a questi due fattori limitanti, i produttori di chip hanno provato a battere diverse strade. Dal 2004, ad esempio, la SIA ha deciso di limitare la frequenza operativa massima dei processori, così da limitare il calore prodotto da ogni singolo chip. Per far sì che lo sviluppo dei sistemi informatici non subisse rallentamenti, si è dato vita a una vera e propria rivoluzione industriale che ha portato alla riprogettazione dell'architettura dei processori.

 

gli adattamenti legge di moore

 

Nascono così CPU e SoC multicore, nei quali due o più unità logico-matematiche (sempre in multipli di due) sono inserite all'interno dello stesso banco di silicio. Ciò permette di amplificare le prestazioni dei microprocessori senza che ci sia il bisogno di aumentarne la frequenza operativa. In questo modo un processore monocore con frequenza da 1 gigahertz ha la stessa potenza di calcolo di un processore quadcore nel quale ogni singolo operatore ha una frequenza da 250 megahertz. Questa soluzione, però, pone seri problemi di "spacchettamento" delle istruzioni in più parti e gestione dei carichi di lavoro, così che i produttori hanno dovuto limitare la proliferazione di core.

Le alternative alla legge di Moore

Ora che la legge di Moore è morta (o quasi) si apre la corsa alle alternative per far sì che lo sviluppo dei processori non conosca frenate troppo brusche. Molti ricercatori (e molte aziende, tra le quali Google) stanno tentando la strada dell'informatica quantistica, che basa il proprio funzionamento su qubit e processori retti dalle leggi della fisica quantistica. Dall'altro lato proseguono studi e ricerche su materiali alternativi al silicio per la produzione di chip più efficienti e potenti: i nanotubi di carbonio sono in prima fila, ma non si parla anche di grafene, fosforene e altri composti chimici innovativi. Altri ricercatori, infine, propendono per un nuovo cambio di architettura: passare da un'organizzazione bidimensionale dei circuiti a una configurazione tridimensionale, con diversi strati di silicio impilati l'uno sull'altro per formare una sorta di "grattacielo" computazionale.

A cura di Cultur-e
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