Tutti (più o meno) sappiamo cosa sia il cloud computing. Nel caso non lo ricordaste, vi rinfreschiamo velocemente la memoria: si tratta della modalità di erogazione di alcuni servizi – come l'archiviazione, l'elaborazione o la trasmissione di dati – che avviene tramite Internet e su richiesta esplicita dell'utente (on demand). Una tecnologia tutto sommato recente, ma che potrebbe essere ben presto rimpiazzato da un'altra tecnologia.
I maggiori fornitori di cloud pubblico (ossia, liberamente accessibile a qualunque utente) stanno iniziando a guardare con sempre maggior interesse a una nuova modalità di erogazione di servizi tramite la Rete: l'edge computing. Questa nuova tecnologia dovrebbe velocizzare l'erogazione e l'accesso alle varie applicazioni pensate per gli utenti e, allo stesso tempo, ridurre drasticamente la quantità di banda dati utilizzata dall'utente per accedere ai servizi e dall'erogatore per fornirli. Insomma, apparentemente una situazione win-win.
Non ci si deve stupire, quindi, se le varie Amazon, Microsoft, Google e IBM guardano con sempre maggior interesse all'edge computing e pensano di utilizzarlo per rimpiazzare il cloud computing. Come accennato, i vantaggi che questa modalità di erogazione e accesso a servizi Internet potrebbe garantire sono molteplici e potrebbero diventare molti di più, nel momento in cui diventerà di dominio comune.
Che cos'è l'edge computing
Per capire che cos'è l'edge computing ci converrà partire dalle differenze tra edge e cloud computing. A dir la verità, le loro funzionalità e i loro "scopi" sono sovrapposti e, da un punto di vista teorico, potrebbero essere utilizzate l'una al posto dell'altra. La grande differenza sta nella "distanza" che separa chi eroga il servizio e chi vuole accedervi. Mentre il cloud viene erogato in maniera centralizzata attraverso data center distanti centinaia e centinaia di chilometri dall'utente, l'edge computing è una tecnologia di "prossimità" (sul bordo, come suggerisce anche il nome), che consente di erogare servizi Internet analoghi a distanze di gran lunga inferiori.
L'edge computing, quindi, è una modalità di erogazione di servizi analoghi a quelli del cloud computing, ma con potenza di elaborazione decentrata e posta nelle vicinanze di chi richiede il servizio. Anziché affidarsi a grandi datacenter sparsi un po' ovunque nel mondo, le richieste dell'edge computing sono eseguite da dispositivi IoT molto più vicini alla fonte dei dati o della richiesta. Ciò non vuol dire che il cloud è destinato a scomparire: semplicemente il cloud si avvicina sempre di più alla fonte dei dati.
A cosa serve l'edge computing
Con l'edge computing il flusso dati dal client all'erogatore dei servizi (e viceversa) subisce una netta accelerata. L'elaborazione delle informazioni, infatti, avviene in tempo reale e senza ritardi dettati dalla latenza che, anche se in minima misura, è invece presente nelle applicazioni del cloud computing. Si tratta di funzionalità che possono tornare utili nelle situazioni più disparate: si pensi, ad esempio, nelle auto a guida autonoma, dove anche un centesimo di secondo di ritardo nell'elaborazione dei dati catturati dai vari sensori di cui è dotato il mezzo può fare la differenza tra un incidente o un viaggio senza problemi.
I vantaggi dell'edge computing
Come già detto più volte, la possibilità di elaborare dati a breve distanza è il maggior vantaggio che l'edge computing garantisce rispetto al cloud computing. Da questo punto di partenza derivano, poi, tutti gli altri vantaggi che l'edge computing saprà garantire da qui a qualche anno. Prima di tutto, ci sarà una notevole riduzione della latenza nell'elaborazione e accesso ai dati; la maggior vicinanza tra client e dispositivi che eseguiranno materialmente le operazioni, poi, farà sì che la quantità di dati che deve essere "mossa" da un capo all'altro sarà inferiore portando a una minor richiesta di banda dati. A questo, infine, si associa una maggior sicurezza informatica: se i dati sono crittografati direttamente all'interno dei dispositivi responsabili della loro creazione (vedi l'introduzione di chip per la crittografia all'interno di smartphone come l'iPhone Xs o Pixel 3), gli hacker avranno minore "spazio di manovra" e minori opportunità di riuscire a inserirsi nel processo di trasmissione delle informazioni e, quindi, riuscire a trafugare dati.
3 novembre 2018