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Memorie organiche: cosa sono e a cosa servono

Da oltre un decennio diversi istituti di ricerca stanno provando a realizzare delle memorie basate su molecole organiche anziché silicio. Ecco a che punto siamo

Dati in scrittura

Secondo alcune stime, entro il 2040 il mondo avrà prodotto 3 quadrilioni di bit di dati digitali. In cifre si scrive così: 3.000.000.000.000.000.000.000.000, con 24 zeri. Una quantità di dati impressionante, che non sapremo dove mettere perché, molto probabilmente, non ci basterà tutto il silicio della Terra per creare tutte le memorie necessarie per archiviarla. Ma gli scienziati sono già da tempo al lavoro per trovare una soluzione.

Tra le tecnologie di archiviazione che fanno a meno del silicio, una di quelle che sembrano più interessanti è la cosiddetta "memoria organica". Una memoria, cioè, che si può leggere e scrivere come quelle che usiamo oggi, ma fatta di chip costruiti con materiale organico. Dall'inizio del nuovo millennio a oggi si sono susseguite diverse ricerche che dimostrano come sia possibile usare diversi materiali per costruire memorie organiche per archiviare i dati.

Volendo fare un paragone con una "controparte" naturale, è un po' quello che accade con le molecole di DNA, il cui scopo è proprio quello di archiviare informazioni (genetiche, in questo caso) da tramandare di generazione in generazione tramite riproduzione sessuata. L'obiettivo dei vari gruppi di scienziati impegnati in questo settore è riuscire a trovare delle molecole con una densità di archiviazione dati superiore a quella dell'acido deossiribonucleico, in modo da poter risolvere con grande anticipo la "crisi dei dati" che si paventa.

Memoria fatta di atomi

La memoria organica-metallica di Yang Yang

Nel 2004 il professor Yang Yang del China National Rice Research Institute e Liping Ma della Nitto Denko Corporation pubblicarono uno studio in cui descrivevano un "dispositivo bistabile organico" (OBD), cioè una primordiale memoria formata da tre strati metallici e organici. La memoria poteva essere sia letta che scritta e manteneva la carica, quindi era non volatile. Secondo i due ricercatori "L'OBD è un candidato promettente per archiviazione di dati indirizzabili elettricamente, ad alta densità e a basso costo".

La memoria flash pieghevole dell'Università di Tokyo

Nel 2009 Takeo Someya e Tsuyoshi Sekitani, due professori dell'università di Tokyo, hanno presentato una ricerca scientifica e mostrato al mondo una memoria flash organica pieghevole. Si basava sul PEN (polietilene naftalato), un polimero resinoso che permetteva alla memoria di piegarsi entro una certa ampiezza d' angolo. I dati potevano essere riscritti circa 1.000 volte, con voltaggi compresi tra 1 e 6 volt. Si trattava di una prima applicazione, ancora primitiva, della tecnologia delle memorie organiche ma ne mostrava già tutti i vantaggi: oltre a fare a meno del silicio, infatti, questa memoria, essendo flessibile, si prestava a infinite applicazioni in quelli che, diversi anni più tardi, sarebbero stati definiti "dispositivi wearable".

Memoria organica

La memoria organica ferroelettrica della Northwestern University

Pochi anni dopo, nel 2012, la Northwestern University di Evanston, Illinois, ha presentato un altro studio sulle memorie organiche. In questo caso gli scienziati hanno usato molecole cristalline con proprietà ferroelettriche. Avevano, cioè, una polarizzazione elettrica anche in assenza di campo elettrico. Un materiale ferroelettrico ha la caratteristica di mantenere la sua polarità fino a quando non entra a contatto con un campo elettrico e questo permetteva alle memorie della Northwestern University di essere non volatili, oltre che economiche. Secondo i ricercatori questa tecnologia era interessante per l'archiviazione in cloud di dati con un consumo molto basso di energia.

La memoria organica liquida della Brown University

Molti altri studi sulle memorie organiche si sono succeduti nel tempo, fino ad arrivare a quello pubblicato poche settimane fa dalla Brown University di Providence, Rhode Island, che è forse il più avanzato di tutti. Lo studio dimostra che è possibile archiviare e recuperare dati archiviati in dei "metabolomi" artificiali formati da miscele liquide di zuccheri, aminoacidi e altri tipi di piccole molecole.

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Risultati della ricerca sulla memoria organica

"In alcune situazioni, piccole molecole come quelle che abbiamo usato in questo studio possono contenere una densità di informazioni persino maggiore del DNA", ha spiegato Jacob Rosenstein, professore della Brown e coordinatore dello studio. Un altro potenziale vantaggio, afferma Rosenstein, deriva dal fatto che molti metaboliti possono reagire tra loro per formare nuovi composti. Ciò lascia immaginare sistemi molecolari che non solo memorizzano i dati, ma anche li manipolano eseguendo calcoli all'interno di miscele di metaboliti. Una sorta di computer liquido, che funziona immettendo e togliendo dalla miscela specifici composti chimici organici.

I vantaggi delle memorie organiche

Tutti gli studi citati riguardano esperimenti riusciti, ma su memorie che possono contenere al massimo pochi Kb di dati. Nessuna tecnologia è ancora abbastanza matura da essere sviluppata a livello industriale e, per capirci, una memoria flash organica non la troveremo a breve su Amazon. Tuttavia, queste ricerche sono importanti perché svincolano l'industria tech dal silicio. Questo potrebbe portare all'utilizzo di materiali più abbondanti, meno costosi e, perché no, anche meno inquinanti.

A cura di Cultur-e
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