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I nanotubi di carbonio salvano la Legge di Moore

IBM scopre un nuovo processo di produzione che permette di ridurre la lunghezza dei contatti elettrici dei transistor senza far aumentare la resistenza

Carbonio

Potrebbero essere i nanotubi di carbonio a prolungare la vita della Legge di Moore. Negli ultimi anni, l'assunto  del celebre informatico e ingegnere statunitense, che prevede che il numero di transistor inscrivibili all'interno di un singolo chip raddoppi ogni due anni, è stato messo in discussione.

Per realizzare chip sempre più potenti, i produttori sono stati costretti a restringere sempre più lo spazio a disposizione per ogni singolo transistor. Nelle CPU di ultima generazione (le Skylake, nel caso di Intel) i transistor hanno contatti di appena 14 nanometri (un nanometro corrisponde a un miliardesimo di metro), mentre per il 2017 è previsto l'esordio delle prime CPU realizzate con processo produttivo a 10 nanometri. Il raggiungimento del limite fisico (la dimensione minima oltre la quale non è più possiible far transitare nel transistor corrente elettrica in maniera efficace), però, sembra essere molto vicino e se non si riuscirà a miniaturizzare ulteriormente la grandezza dei transistor, la Legge di Moore finirebbe fatalmente con l'essere infranta.

 

Nanotubi di carbonio

 

Le misure contano

Come visto, per il corretto funzionamento di transistor e chip le misure contano. Il perché è presto detto: più le dimensioni dei transistor si riducono, più aumenta la resistenza elettrica al loro interno. Ciò vuol dire che gli elettroni non possono più scorrere liberamente all'interno del circuito, mettendo così a rischio il funzionamento del chip stesso. Come  insegna la Prima legge di Joule, al passaggio di corrente in un conduttore è associata la produzione di calore: nel caso in cui la temperatura operativa del chip diventi troppo elevata, i circuiti stampati potrebbero danneggiarsi bloccando completamente il passaggio di corrente elettrica al loro interno.

Resistenza e contatti

Oltre alla resistenza propriamente detta, però, bisogna considerare anche la cosiddetta resistenza di contatto, che si genera all'interno di un circuito elettrico dotato di uno switch (o interruttore) utilizzato per permettere o impedire il passaggio di corrente. Nei transistor i contatti elettrici sono utilizzati per creare le porte logiche che consentono di effettuare le operazioni booleane alla base dell'informatica moderna.

 

Nanotubi di carbonio

 

Nei chip in silicio, l'effetto della resistenza di contatto aumenta al decrescere della lunghezza del contatto stesso: più corto lo switch, maggiore il valore assunto dalla resistenza totale del circuito. Pertanto, in condizioni di estrema miniaturizzazione, il passaggio della corrente all'interno del transistor diventa molto difficile.

I nanotubi di carbonio

Una soluzione a questo problema, secondo IBM, è data dall'utilizzo di materiali alternativi al silicio, che permettono di ridurre ulteriormente le dimensioni dei transistor e dei circuiti stampati senza che il chip risenta delle difficoltà di circolazione elettrica dovute alla resistenza. I nanotubi di carbonio, filamenti 10mila volte più sottili di un capello umano, sono i principali esponenti di questa nuova categoria di materiali e permetterebbero di realizzare chip con maggior potenza di calcolo e, nel contempo, meno inclini a surriscaldarsi rispetto agli attuali chip al silicio.

Questo accade perché, nel loro fluire attraverso il filamento di carbonio, gli elettroni non incontrano (quasi) alcuna resistenza. Mentre in un circuito stampato gli elettroni possono collidere tra loro, con eventuali impurità presenti nel metallo e con gli stessi atomi del materiale conduttore (incontrando resistenza al loro moto, perdono energia e generano calore), in un nanotubo di carbonio i movimenti degli elettroni avvengono praticamente senza incontrare ostacoli e quindi senza perdite di energia. Gli elettroni, dunque, si propagano lungo un canale che non oppone  alcuna resistenza, comportandosi come un superconduttore: in casi come questi si parla di conduttività balistica.

 

Nanotubi di carbonio

 

Questione di grandezza

Nella realizzazione di chip ai nanotubi di carbonio, anche IBM ha dovuto fronteggiare problemi legati alle dimensioni delle nanostrutture. Prima di tutto, il gigante dell'hi-tech ha dovuto ideare una soluzione tecnica che gli permettesse di sistemare i nanotubi a pochi nanometri l'uno dall'altro senza che la funzionalità dei singoli transistor – e del chip – ne risentisse. Inoltre, IBM ha dovuto creare dei sistemi informatici che, oltre a essere funzionali, fossero anche scalabili (ovvero adattabili e facilmente utilizzabili anche su dispositivi di dimensioni differenti). Se i chip in nanotubi di carbonio non fossero utilizzabili sia all'interno di grossi server o di supercomputer sia in dispositivi più piccoli come gli smartphone, gli sforzi tecnologici da compiere potrebbero dimostrarsi economicamente insostenibili.

La scalabilità, inoltre, è legata a doppio filo con la resistenza di contatto. IBM, infatti, ha lavorato affinché i contatti all'interno del chip fossero più brevi possibile pur mantenendo la resistenza elettrica totale su livelli accettabili. A oggi, il team di ricerca statunitense è riuscito a realizzare chip in nanotubi di carbonio con processo produttivo a 9 nanometri senza che la resistenza elettrica crescesse in maniera apprezzabile.

 

Nanotubi di carbonio

 

I vantaggi dei nanotubi di carbonio

La scoperta del team di ricerca IBM apre sviluppi molto interessanti per tutto il mondo informatico. Un chip basato su questa tecnologia è molto meno esoso da un punto di vista energetico: utilizzandolo all'interno di smartphone, tablet e altri dispositivi mobili, sarà possibile prolungare anche di parecchio la durata della batteria. Inoltre, i chip ai nanotubi di carbonio daranno modo di realizzare supercomputer capaci di milioni di miliardi di operazioni al secondo senza pericoli di surriscaldamento e con consumi energetici decisamente ridotti.

A cura di Cultur-e
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