Viviamo davvero nella società delle mangrovie? Secondo Luciano Floridi, professore di filosofia ed etica dell’informazione all’Università di Oxford e direttore del Digital Ethics Lab, sì. La spiegazione è molto semplice: le mangrovie vivono in acqua salmastra, ossia dove si incontrano le acque dei fiumi e quelle del mare.
È un habitat che sembra non avere senso, che si trova esattamente sull’intersezione di due mondi. Per Floridi vivere onlife significa proprio questo: vivere a cavallo tra una realtà virtuale e una offline. Nel 2013 Floridi ha coniato il termine onlife con lo scopo di rappresentare la nuova versione della vita umana in un’epoca dove il digitale la fa da padrone.
Tra realtà virtuale e realtà materiale
Spesso l’uomo non è all’altezza delle tecnologie che inventa, e così si ritrova con armi potenti senza sapere come utilizzarle al meglio. Floridi spiega che proprio questo è il caso dei social media. È un mistero perché si chiamino così dato che di sociale hanno molto poco.
La tecnologia digitale ha il grande potenziale di poter migliorare le conoscenze e l’apprendimento dell’individuo, ma non sempre il risultato diventa automaticamente una maggiore capacità delle persone.
Tutti possono frequentare i corsi delle migliori università del mondo online, ma non tutti ne traggono un reale vantaggio. Avere così tanti contenuti a disposizione finisce per confondere il cervello umano e causare una progressiva diminuzione della capacità di apprendimento.
Il web offre migliaia di stimoli al secondo, causando un sovraccarico cognitivo che non passa inosservato. L’apprendimento non è più settoriale, ma diventa generico e generale, senza che l’individuo abbia la capacità né l’opportunità di soffermarsi su un aspetto specifico. Questo comporta una forte alterazione dei comportamenti mentali delle persone e della creatività digitale.
Basti pensare al multitasking: oggi fare più cose contemporaneamente sembra normale, a volte quasi furbo. Senza pensare che la qualità delle azioni intraprese è destinata a calare drasticamente.
Di fronte alla miriade di informazioni l’individuo tende ad effettuare una lettura molto rapida delle informazioni, senza lasciare spazio all’elaborazione personale.
Il termine coniato da Floridi è stato utilizzato anche da La Repubblica nel 2019 proprio per dare un nome all’evento organizzato in collaborazione coi giornali della LENA. Il tema ricorrente tra i tanti ospiti è stata l’innovazione e le conseguenze che ha sulle vite degli individui. Oltre a questo, si è parlato dell’impatto del digitale sul Pianeta, come sarà il 6G, quali strade sta prendendo l’intelligenza artificiale e cosa sarà in grado di fare.
La quarta rivoluzione tecnologica
Floridi in quest’occasione spiega la complessità del rapporto di oggi dell’uomo con la tecnologia. La tecnologia non deve essere intelligente. Un iPhone deve saper giocare a scacchi meglio di qualsiasi giocatore, ma non può essere più intelligente di un giocatore. Ecco che quindi bisogna scindere la tecnologia. Importante, ma non indispensabile.
Floridi la chiama quarta rivoluzione: l’avvento della tecnologia ha fatto sì che l’uomo adattasse il suo mondo per lei. Basta pensare al codice a barre: è un’invenzione dell’uomo, ma creata per la macchina. Si è trasformato qualcosa destinato agli individui e modificato per le macchine, perché l’automazione costa meno.
Passare dall’analogico al digitale è ancora più trasformativo dell’inventare il motore a scoppio, perché in primis cambia l’essere dell’individuo.
Se l’uomo cambia il mondo con la tecnologia, cambia anche lui. Cosa diventa l’uomo in questo nuovo mondo? Avviene una decentralizzazione della propria identità.
Per il mondo legale, secondo la Commissione Europea, gli individui sono data subject, ossia soggetti fatti di dati. In un mondo in cui ci sono soggetti che analizzano e mangiano dati, l’individuo diventa una facile preda. Il contesto è importante, ma bisogna creare una legislazione adeguata.
Se invece ci si sofferma sull’essere dell’uomo che sa fare qualcosa, l’individuo non può non andare in crisi se si mette al suo fianco qualcosa che sa fare la stessa cosa meglio di lui. A questo punto l’uomo deve capire meglio chi è. Esiste ancora l’eccezionalità dell’uomo?
La creatività è l’eccezionalità dell’uomo
In un mondo futuro in cui i mestieri più semplici verranno molto probabilmente automatizzati, la miccia che farà la differenza è la creatività, elemento che sarà sempre più indispensabile in tutti i lavori che non potranno essere meccanizzati.
Secondo la scrittrice Annamaria Testa, la creatività è un processo focalizzato e consapevole. Non può quindi esserci creatività se non c’è concentrazione, se non si riesce ad applicarsi focalizzandosi su un singolo concetto. Il surplus di stimoli che oggi si riceve ha costretto gli individui a rinunciare all’ozio, ossia a quei preziosissimi momenti di vuoto che sono capaci di stimolare il pensiero laterale e dissociativo.
Diventa cruciale al giorno d’oggi ritagliarsi dei momenti per rilassarsi nella vita quotidiana, per permettere al cervello di riposare e non dover essere continuamente occupato. Sembra quasi un ossimoro, ma è proprio quando il cervello riposa che può sfornare idee e creatività.
Un altro metodo per migliorare la propria capacità creativa è soffermarsi e specializzarsi su un solo campo tra le proprie competenze. Questo porterà l’individuo a ricercare soltanto una determinata tipologia di notizie, attuando una strategia di minimalismo digitale.
La tecnologia non è una nemica, ma non bisogna esserne schiavi. Sono molti gli studi che hanno sottolineato come la dipendenza dai propri dispositividigitali abbia influenzato il processo creativo e la vita offline.
Sono cambiati i nuovi contenuti, le interazioni tra persone, i comportamenti umani. Le tecnologie hanno una duplice valenza: da un lato sembrano semplificare la vita, dall’altro sembrano complicarla.
Per saperne di più: Cos’è la creatività digitale e come svilupparla