Tra le soft skills più richieste nel mondo del lavoro c’è la capacità di problem solving, l’attitudine a risolvere i problemi, gli imprevisti e i conflitti in maniera originale e creativa trovando soluzioni innovative e mai applicate in precedenza. Una competenza trasversale importante, che rende competitivi nei processi di selezione delle risorse.
L’abilità di problem solving consiste di un insieme di procedimenti mentali, di tecniche di pensiero, di risorse e di qualità personali applicate con lo scopo di far emergere dei risultati utili per la risoluzione di una o più criticità.
Entra in gioco ogni qual volta si presenta un problema, ossia quando un processo produce degli effetti indesiderati, non previsti e visibili, che influiscono negativamente sul raggiungimento dei risultati che ci si è prefissati.
Ciò può avvenire in ogni ambito della vita: familiare, relazionale e lavorativo. A livello aziendale, sia nelle realtà più piccole che in quelle più grandi, la ricerca e l’applicazione della risoluzione delle criticità coinvolge tutte le risorse, poiché è l’intero gruppo che deve dare il proprio contributo per raggiungere dei risultati comuni.
L’obiettivo è quello di individuare il problema, capire che cosa lo ha scatenato, quando e dove si è manifestato, quando ci si è accorti della sua esistenza e se si tratta di una condizione occasionale o persistente. Analizzando e determinando questi elementi, l’identificazione di tutte le possibili soluzioni e la rimozione degli effetti negativi sarà facilitata.
Sono tante e diverse le tecniche di problem solving che nel tempo sono state sviluppate per evitare che, durante la fase di analisi del problema e di ricerca di tutte le possibili soluzioni, il singolo individuo o l’intero team di lavoro si trovino a lavorare in condizioni di pressione, stress e ansia.
Le tecniche del problem solving portano gli individui che le applicano a superare i limiti del ragionamento classico e a considerare più punti di vista differenti da quello personale. Si basano sul confronto, sulla logica, sull’intuito e sulla capacità d’organizzazione. Tra quelle più applicate vi è l’analisi dei cinque perché.
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1. Metodo dei cinque perché: in cosa consiste
L’analisi dei cinque perché è un metodo lean per la risoluzione dei problemi introdotto da Sakichi Toyoda, fondatore delle Toyota Industries. L’obiettivo è quello di identificare le cause reali che si nascondono dietro una criticità, studiando le relazioni di causa-effetto rispondendo ad una sola domanda: perché.
Con la tecnica dei cinque perché si supera l’idea di dover risolvere un problema guardando solo agli effetti finali, ai sintomi e alle conseguenze sul processo di lavoro. È un percorso a ritroso, che cerca l’origine per poter eliminare definitivamente il fattore scatenante e fare in modo che la criticità non si ripresenti in futuro.
La domanda ‘perché’ va reiterata almeno cinque volte e deve indagare su diversi aspetti del problema: chi si è accorto della sua esistenza o chi lo ha prodotto, da cosa deriva, dove si è manifestato, quando è diventato visibile, come ha influenzato il processo di lavoro o come ha influito sulla qualità della produzione o sulle performance dei lavoratori.
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2. Metodo dei cinque perché: come utilizzarlo
Il metodo dei cinque perché si articola in tre fasi che permettono l’identificazione analitica del problema e della sua radice. Non vi è un numero stabilito di ‘perché’ da porsi. Superate le cinque volte si può continuare finché non si arriva ad una risposta soddisfacente.
Si articola in tre fasi. La prima è l’identificazione e la descrizione del problema. Bisogna essere specifici e concentrarsi su una criticità alla volta. Solo definendo bene l’effetto a cui si vuole fornire una soluzione, si potranno ottenere buoni risultati alla fine del processo. In questo primo momento cruciale può essere utile raccogliere anche dati ed informazioni di supporto attraverso altre tecniche di problem solving.
Nella seconda fase occorre domandarsi perché il problema si è verificato. È un passaggio che va avanti ad oltranza, finché non si individua la reale radice e l’elemento scatenante. Le proprie convinzioni possono influire e rendere l’analisi poco oggettiva. È bene cercare di rimanere sempre imparziali o chiedere un parere esterno.
Infine, individuata la causa scatenante, il problema può essere risolto ideando nuovi sistemi o processi di lavoro innovativi. Giungere ad una soluzione originale, una volta definita la radice che ha portato all’insorgenza della criticità, sarà più semplice.
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3. I limiti del metodo dei 5 perché
Il metodo dei cinque perché è estremamente efficace quando l’obiettivo è quello di ricercare le relazioni di causa-effetto dei problemi. Potrebbe tuttavia incontrare alcuni limiti ed ostacoli negli ambienti ostili, dove il gruppo di lavoro non è coeso.
La ricerca dei motivi che hanno scatenato l’effetto indesiderato potrebbe portare alla ricerca di un colpevole, rendendo l’applicazione della tecnica superflua. Occorre sempre essere consapevoli che tutti i problemi sono dovuti a processi sbagliati, anche quando la loro base è umana.
Nell’individuazione della radice del problema, le proprie convinzioni possono portare fuori strada e rendere impossibile visualizzare la vera causa scatenante. Giungere alla giusta conclusione può diventare difficile se non si riesce ad avere un approccio imparziale e ad elencare tutte le possibili risposte ai ‘perché’ che ci si pone, senza nessuna omissione.
Non sempre è possibile intervenire sulle cause reali dei problemi. Rimuoverle potrebbe richiedere investimenti onerosi e svantaggiosi. La metodologia dei cinque perché risulterebbe in questo caso inutile, poiché sarebbe più opportuno agire direttamente sugli effetti.
Per saperne di più: Cos'è il problem solving e come sviluppare questa competenza