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Il public speaking tra oratoria classica e soft skills del mondo contemporaneo

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Spunti di riflessione sulla storia della teoria del ben parlare

mondo classico oratoria classica soft skills RobertBreitpaul / iStock via Getty Images Plus

Avviene in numerose occasioni di domandarci come potremmo migliorare le nostre capacità di parlare in pubblico, o allenare le nostre attitudini a tale modalità di comunicazione.
Sono infatti molti gli ambiti in cui il public speaking trova applicazione, da quello professionale a quelli della vita di tutti i giorni, come assemblee scolastiche, condominiali, partecipazione su piattaforme di videoconferenza ecc.
Un’abilità e al tempo stesso un’esigenza comunicativa quanto mai attuale, in grado di accrescere il nostro self-empowerment, le nostre soft skills , ed anche di offrirci nuove prospettive.

Ma quando è nata, e perché, l’attenzione per la capacità di comunicare in pubblico?


Il valore del saper ben parlare in pubblico viene notoriamente “scoperto”, riconosciuto e coltivato fin dall’antichità, che ne ha fatto una modalità centrale di progresso del sapere e della conoscenza, e che ha basato su di esso larga parte del pensiero socio-politico che ha portato a delineare il modello stesso della democrazia, e che inoltre, per secoli, ha fondato su di esso logiche professionali come quella della pratica forense, e di acquisizione e mantenimento del potere nell’ambito, ad esempio, della politica.

mondo classico

Olga Kurbatova / iStock by Getty Images Plus

La vita e la frequentazione dei Greci antichi nell’Agorà, nella piazza cittadina di Atene, non poteva certo prescindere da questa abilità. Il filosofo Platone, nel parlarci di Socrate e della dialettica, indica come il dialogo e il confronto delle diverse posizioni devano essere sorrette dalla buona, e volta in bene, capacità di argomentare, che per portare alla vera conoscenza non può che avere come oggetto ed obiettivo il buono ed il vero.

Mentre i sofisti esercitavano la dialettica sostanzialmente come pura tecnica, arrivando a svolgere esercizi di argomentazione in cui si cimentavano a sostenere in un primo discorso una certa tesi, e subito dopo, nel discorso a seguire, il suo contrario, Socrate invece, nei dialoghi con i suoi concittadini, e dietro a lui Platone che ce lo descrive, vedevano la “buona dialettica” in quella capacità argomentativa che ricerca ed avvicina al vero, al giusto, al bene, discriminando tra il campo della verità e quello della semplice “opinione”.

Sintetizzando estremamente, potremmo dire che a questo percorso di ricerca di vera conoscenza, di cui il dialogo, un dialogo ben finalizzato, era strumento essenziale, si devono molte delle acquisizioni di civiltà, cultura e grandezza dell’Occidente.

 

agora greca

duncan1890 / DigitalVision Vectors

L’antichità attribuisce centrale importanza, oltre che al dialogo e al confronto di argomentazioni come fonte di conoscenza, al discorso, inteso come discorso “professionale”, ufficiale e pubblico, rivolto da un emittente a più destinatari. E non un discorso puramente “teorico”, ma a cui seguissero decisioni e azioni concrete, ad esempio in ambito politico e militare, come ci testimonia l’eloquenza romana.

Un punto di riflessione in particolare ricorre tra gli autori antichi attraversando tutta la storia della teoria del ben parlare: e cioè se nel parlare per persuadere, per mestiere, per necessità professionale come nel caso degli avvocati, la tesi che viene sostenuta sia conforme alla verità o alla morale.

Catone, che fu uno dei maggiori oratori latini del proprio tempo (tra III e II secolo a.C.), dava ad esempio dell’oratore la definizione di “uomo onesto esperto nell’arte della parola” (in latino: vir bonus dicendi peritus), e sintetizzando in una formula il suo insegnamento sul ben parlare, invitava a “tener ben presente l’argomento, le parole seguiranno da sé” (in latino: rem tene, verba sequentur). Come ci dice il latinista Pierre Grimal (La litterature latine, Presses Universitaires de France, 1992), l’eloquenza altro non è, per Catone, se non l’espressione naturale di un pensiero vigoroso, sicuro della propria verità.

Meno di due secoli dopo, Cicerone, scrittore ed oratore latino simbolo stesso dell’eloquenza romana, che dedicò larga parte del proprio studio e della propria ricerca proprio all’arte oratoria, rafforzò il concetto espresso da Catone sostenendo nel De oratore che “l’abbondanza degli argomenti genera quella delle parole” (in latino: rerum copia verborum copiam gignit). Le sue considerazioni sull’eloquenza lo portarono a riflettere, oltre che sulle regole per praticarla, sulla persona stessa dell’oratore, visto come ideale civico ed umano, come pensatore universale, che deve conoscere a fondo tutto ciò su cui si può trovare in obbligo di parlare, ma deve anche, come ancora sottolinea Grimal, superare tutte le tecniche particolari, ed essere un vero artista della parola che deve persuadere con la grazia, e al tempo stesso essere un filosofo per scoprire ogni volta le ragioni profonde delle cose. Cicerone tratteggiò in questo modo una figura ideale destinata a giungere fino ai giorni nostri come l’immagine stessa dell’umanesimo.

 

oratore antico e moderno

shibanuk / iStock by Getty Images Plus

 

 

Cosa è dunque il ben parlare? Esercizio di argomentazione e di stile, quindi “metodo”, da un lato, e d’altro lato, in particolar modo, contenuto, anzi buon contenuto. Un contenuto buono e valido come la “verità”, la conoscenza, veicolato da una capacità particolare di porlo, di delinearlo, che è la focalizzazione sull’argomento stesso, con l’obiettivo di condividerlo, nella convinzione che sia proprio quello il motore di un buon discorso: un argomento valido, da tener ben presente, per presentarlo, farlo conoscere e quindi metterlo al meglio in comune con chi ci ascolta. Qualcosa quindi che merita tutta la convinzione possibile perché venga presentato come merita, facendo capire a tutti quanto valga.

Una grande importanza data al “cosa”, oltre che naturalmente al “come” entrano dunque in gioco, nel passato come oggi, nell’abilità di parlare in pubblico.

Chris Anderson, curatore del TED, le conferenze annuali di rilievo mondiale inerenti tecnologia, intrattenimento e design (TED, come ci ricorda il web, è l'acronimo di “Technology, Entertainment, Design”, titolo del primo evento organizzato nel 1984 che si è poi trasformato nel 1990 in una conferenza annuale, ed è diventato un'organizzazione mediatica dedicata alla diffusione delle idee a livello globale, con lo scopo di condividere riflessioni su svariati argomenti tra cui società, scienza, arte, cultura, innovazione, tecnologia, attraverso discorsi brevi ed efficaci, chiamati “TED talks”), spiega come, insieme ai trucchi per diventare eccellenti oratori, come provare il discorso all'infinito, suscitare empatia, indossare gli abiti giusti, chi prende la parola deve imporsi di essere solo uno strumento, e deve mettere in secondo piano la paura di una potenziale figuraccia, e lasciare invece che a salire sul palco sia un'idea in grado di essere di ispirazione agli altri.
Nel suo testo “Il migliore discorso della tua vita. Come imparare a parlare in pubblico” (Milano, Mondadori, 2017, traduzione di Dario Ferrari), Chris Anderson sottolinea che per rendere “l'arte di parlare in maniera efficace” accessibile al mondo contemporaneo, per poter assistere alla moderna rinascita dell'arte del parlare in pubblico, ovunque si verifichi e chiunque la metta in pratica, occorre tenere presente che l'unica cosa che conta davvero è avere un argomento di cui valga la pena parlare, e trovare il modo di farlo in maniera autentica e personale.

E’ davvero un consiglio utile, molto importante da tenere presente tutte le volte in cui, con un uditorio più o meno ampio, in qualsiasi contesto ci possiamo trovare, nasca per noi l’esigenza, o l’opportunità, di esercitare questa abilità così moderna, e allo stesso tempo quest’arte così antica e fondante, alla quale noi tutti e la nostra stessa civiltà siamo tanto legati e tanto debitori.

 

 

Scritto da:
Lucia Loredana Canino
Business Analysis Professional
Alla ricerca di spunti e tracce di qualcosa di buono, e dello sguardo per poterli vedere.
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