Che la realtà virtuale e la realtà aumentata potessero avere diversi impieghi nel settore della medicina è un fatto risaputo. Visori VR e visori AR, tanto per fare qualche esempio, possono essere utilizzati in sala operatoria sia come supporto per operazioni "reali" sia per esercitazioni che precedono le operazioni più complesse e pericolose (si pensi a un trapianto di cuore, ad esempio). I visori, però, possono permettere di "esplorare" a fondo i referti di esami medici per immagini (una tac o una risonanza magnetica, ad esempio) e scoprire così dettagli altrimenti destinati a restare invisibili.
La realtà virtuale, poi, si sta dimostrando utile anche per combattere diverse forme di fobia, permettendo ai pazienti di affrontare le loro paure in maniera più diretta ma molto meno pericolosa. Merito di alcune app che, ricreando virtualmente ambienti e situazioni "fobiche", consentono alle persone di confrontarsi con la loro paura di parlare in pubblico, la fobia dei ragni e così via.
A questi aspetti apparentemente più pratici, se ne stanno aggiungendo altri capaci di sfruttare gli elementi più "ludici" della realtà virtuale. I visori VR, infatti, sono oggetto di sperimentazioni in diversi ospedali e centri di ricerca sparsi un po' in tutto il mondo. L'obiettivo è quello di utilizzare applicazioni VR a mo' di effetto placebo o come forma alternativa di "anestesia".
La realtà virtuale in aiuto dei pazienti chemioterapici
Un esempio è dato dall'utilizzo di un visore Samsung Gear VR per "distrarre" pazienti impegnati in cicli di chemioterapia. Secondo i medici dell'ospedale Chris O'Brien Lifehouse, in Australia, l'utilizzo della realtà virtuale permetterebbe di ridurre i livelli di stress e rendere più "piacevole" il tempo trascorso all'interno della struttura ospedaliera. L'idea è quella di far "immergere" i pazienti nel mondo VR, così da fornire una sorta di "via di fuga" dalla realtà e di sollievo, senza la necessità di ricorrere ad altre terapie o prescrizioni mediche. Una vera e propria "terapia della distrazione", insomma, resa possibile dai progressi fatti registrare negli ultimi anni dalla tecnologia VR.
Risonanza magnetica in VR
Essere sottoposti a una risonanza magnetica è un'esperienza non molto piacevole. A maggior ragione nel caso in cui i pazienti abbiano un'età inferiore ai 10 anni: dover trascorrere decine di minuti in un cilindro metallico anche piuttosto rumoroso può provocare reazioni che inficiano la buona riuscita dell'esame. I radiografi e gli specialisti del King's College di Londra hanno così deciso di progettare e sviluppare un'app per visore VR che accompagni i più piccoli nel processo di avvicinamento alla risonanza magnetica.
My MRI at King's (la mia risonanza magnetica al King's) permette ai più piccoli di scoprire, passo dopo passo, cosa voglia dire sottoporsi a un esame del genere, quale tipologia di emozioni e sensazioni si vivranno all'interno del macchinario e ricevere delle semplici spiegazioni su quello che accadrà. Compatibile con i Google Cardboard, l'app VR prevede anche il coinvolgimento dei genitori, così da rendere ancora più "naturale" e "familiare" un'esperienza tutt'altro che piacevole.
Utilizzare i visori VR al posto degli antidolorifici
La Francia è una delle prime Nazioni a sperimentare i visori VR al posto degli antidolorifici. La ricerca è portata avanti all'Ospedale St Joseph dall'equipe del Dottor Olivier Ganasia, che per alcune tipologie di interventi sta sperimentando una nuova anestesia: la realtà virtuale. Per il momento i test vengono effettuati solamente su pazienti con piccoli traumi e che devono essere sottoposti a interventi di routine. Ai pazienti che devono subire l'operazione non vengono somministrati antidolorifici né l'anestesia, ma semplicemente vengono "ipnotizzati" grazie alle immagini mostrate dal visore VR. Gli specializzandi del Dottor Olivier Ganasia hanno sviluppato un programma virtuale che mostra sul visore immagini rilassanti come le colline innovate e i giardini Zen giapponesi. Con il passare dei minuti i pazienti si tranquillizzano nel vedere le immagini e non sentono alcun dolore.
Secondo il Dottor Ganasia questa tecnica è ancora agli albori e saranno necessari almeno altri 10 anni per vederla utilizzata all'interno degli ospedali. Ma l'inizio è confortante e con il passare degli anni le tecniche utilizzate verranno affinate sempre di più.
19 agosto 2018