In Breve (TL;DR)
- I computer biologici utilizzano componenti organiche, come proteine e neuroni, per eseguire calcoli e compiti complessi, riducendo il consumo energetico rispetto ai supercomputer tradizionali.
- Prototipi come quello di Dan Nicolau sfruttano l’ATP per muovere proteine nei processori, mentre altre versioni, come Brainoware, utilizzano neuroni umani per riconoscere voci o giocare a videogiochi semplici.
- Questa tecnologia promette progressi straordinari, ma solleva questioni etiche, come il confine tra intelligenza biologica e artificiale e le implicazioni sul concetto di coscienza.
Il computer biologico segna un’ulteriore rivoluzione copernicana della tecnologia, con l’essere umano che, di fatto, diventa il “cuore pulsante” della macchina, andando ad alimentarla con le sue componenti organiche.
In questo momento storico esistono vari approcci al biological computing, che utilizzano materie e composti differenti, producendo comunque risultati più che degni di nota.
L’impressione è che il progresso tecnologico genererà soluzioni sempre più avanzate e performanti, ma c’è anche un tema etico da non sottovalutare, che porterà sempre di più la comunità internazionale a riflettere su quale sia il vero confine tra intelligenza biologica e intelligenza artificiale.
Cos’è e a cosa serve il computer biologico
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Nel corso della Storia, il computer è sempre stato più o meno strettamente collegato all’essere umano. L’idea di sviluppare macchine automatizzate sempre più complesse non può infatti venire scissa dal desiderio di provare a razionalizzare e replicare alcune modalità di funzionamento tipiche della nostra mente.
Oggi il concetto di computer biologico segna un nuovo punto di incontro tra essere umano e tecnologia, ribaltando per certi versi il rapporto tra i protagonisti di questa strana equazione.
Con il biocomputer non si cerca più di digitalizzare il cervello umano, traducendo i suoi infiniti funzionamenti in linguaggio binario. L’idea è piuttosto quella di trasferire elementi biologici all’interno della macchina, in modo che “alimentino” e rendano possibili tutte le sue operazioni.
Ad esempio Dan Nicolau, ricercatore dell'università statunitense McGill, ha realizzato un prototipo di computer biologico capace di sfruttare il movimento delle proteine anziché gli elettroni per trasportare le informazioni ed effettuare i calcoli delle operazioni booleane che sono alla base del funzionamento dei processori.
Il computer biologico è un computer il cui funzionamento è basato su componenti organiche, come ad esempio le proteine o i neuroni.
Il prototipo, realizzato nei laboratori di ricerca della facoltà di bioingegneria, si presenta come una scheda di materiale plastico grande appena 1,5 centimetri e ha stupito la comunità scientifica.
Non solo per la forma, ma anche e soprattutto per i risultati, considerato che la capacità di calcolo del processore biologico di Nicolau è equiparabile a quella di molti supercomputer utilizzati oggi nella ricerca scientifica per processare grandi moli di dati.
Un altro esemplare di computer biologico, realizzato a Bloomington dai ricercatori della Indiana University, sfrutta invece le potenzialità dei neuroni umani, che vengono utilizzati sia come banchi di memoria che come microprocessori.
Infine in Australia Cortical Labs ha realizzato un computer biologico a partire da campioni di sangue umano. Questi ultimi sono stati riprogrammati in laboratorio, convertiti in cellule staminali pluripotenti indotte e, infine, trasformate in neuroni con potenzialità non troppo diverse da quelli umani.
Come funziona il biological computing
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Arrivare a una sintesi universalmente valida del funzionamento del computer biologico in questo momento storico è molto complesso, visto che i vari esemplari prodotti o in via di definizione presentano condizioni strutturalmente differenti.
Alla base del funzionamento del computer biologico realizzato nei laboratori della McGill University troviamo l’adenosina trifosfato, spesso descritta con l’acronimo ATP.
L’ATP è una molecola zuccherina che funge da fonte energetica per le cellule di tutti gli organismi viventi. Nel caso del computer biologico, viene utilizzata per muovere le proteine all’interno dei circuiti del processore.
La scheda del supercomputer sperimentale di Dan Nicolai è infatti composta da molteplici canali e cunicoli di dimensioni infinitesimali, che sostituiscono i transistor tipici dei chip in silicio.
Il prototipo Brainoware dell’Indiana University è invece composto da cellule cerebrali a stadi di sviluppo differenti, che vengono collegate a un computer di tipo tradizionale attraverso degli elettrodi.
L’organoide cellulare di questo computer biologico è protagonista di un addestramento non supervisionato, ma i suoi output vengono poi gestiti e interpretati da algoritmi sotto lo stretto controllo dell’essere umano.
Infine Cortical Labs, che considera il suo supercomputer una riproposizione veritiera e plausibile del funzionamento delle reti neurali del cervello dell’essere umano. In questo caso il computer biologico viene messo in dialogo con un processore attraverso un sistema di conversione digitale sia in input che in output.
Cosa può fare il computer biologico?
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Dopo avere analizzato genesi e funzionamento del computer biologico, è lecito chiedersi quali siano i risultati che ci si possono aspettare dal biological computing. E, anche in questo caso, le risposte sembrano semplicemente straordinarie.
Il prototipo australiano dei Cortical Labs ha mostrato come un chip contenente circa 600 neuroni sia in grado di giocare una partita del videogioco Pong, mentre Brainoware si è dimostrato in grado di identificare e riconoscere voci diverse all’interno di un database con centinaia di clip (e con un’accuratezza di quasi l’80%).
Queste sono soltanto alcune delle potenzialità del biological computing, che promette inoltre un risparmio energetico da non sottovalutare. Basti pensare che il prototipo di Dan Nicolau, anche se prodotto in scala, non avrebbe comunque bisogno di sistemi di raffreddamento.
Oggi probabilmente è ancora troppo presto per riuscire ad anticipare i prossimi orizzonti e le prossime sfidedelle macchine informatiche che funzionano sfruttando i principi della biologia.
Allo stesso tempo ci sono già diverse questioni di natura etica che stanno venendo discusse a livello internazionale. Ad esempio sarà sicuramente importante definire nella maniera più chiara possibile il confine che separa l’intelligenza biologica dall’intelligenza artificiale, soprattutto quando si parla di deep learning e reti neurali.
Per non parlare poi di quanto sia complesso il tema della stessa “esistenza” di questi esseri organoidi. Oggi si tratta principalmente di ammassi cellulari privi di coscienza, ma chissà che la loro integrazione all’interno delle reti neurali non ci ponga di fronte a interrogativi inediti sul senso stesso dellavita.