Non si trovavano in Rete perché allora Internet non era diffuso: si infilava la cassetta nel mangianastri (già si chiamava così), si spingeva “play” e poi, a suon di stop, rewind e di nuovo play si trascrivevano i testi delle canzoni. Non si scaricavano da Internet: i film si guardavano noleggiando grosse videocassette e il VHS si inseriva in solidi videoregistratori. Il tasto play era grosso, faceva rumore, segnava l’inizio dello spettacolo. Suoni dimenticati che appartengono a oggetti fuori portata, forse in cantina o soffitta, nel presente, relegati a un passato che sembra vicinissimo e invece è lontano, distante, sconosciuto.
Sono passati decenni, qualcuno quei suoni non li ha mai ascoltati e, forse, non immagina neanche che forma avessero quegli oggetti dai quali provenivano. Ora per i nostalgici, i curiosi, la generazione del nuovo millennio, è possibile riappropriarsi di qualcosa che non c’è più: quel rumore torna proprio nella Rete colpevole, almeno in parte, di averlo annullato e ridotto al silenzio. Nasce il Museo on line dei suoni in estinzione, Museum of Endangered Sounds, un sito che si riempie del trillo dei primi cellulari Nokia, del rumore dei segmenti di Tetris che cadono ipnotici uno alla volta, del suono del floppy disk che veniva letto e sovrascritto mille volte, del bip del Tamagochi.
Il progetto, nato nel corso del 2012, si propone di allargare la collezione dei reperti audio fino al 2015, quando il suo ideatore, lo studente Brendan Chilcutt, inaugurerà lo sviluppo di un linguaggio di markup adatto per reinterpretare i suoni come composizione binaria. A chi piace l’iniziativa? Intanto alle decine di associazioni e gruppi di appassionati di antiquariato tecnologico che hanno finanziato la galleria virtuale. E ora silenzio, il passato torna a farsi ascoltare.
16 luglio 2012