Ai più potrebbe sembrare la trama di un film di spionaggio, tra l'altro anche poco realistico. Si tratta, invece, di un pericolo reale e che potrebbe costare, a qualcuno un po' troppo distratto, i dati e le informazioni personali contenute all'interno di smartphone e tablet. Secondo i ricercatori giapponesi del National Institute of Informatics è possibile ricostruire le impronte digitali di chiunque a partire da una semplice foto e utilizzare questi dati per aggirare i sistemi di sicurezza dei dispositivi mobili.
Non cantate vittoria troppo presto
Per aggirare la password impronta digitale, sarebbe sufficiente reperire un'immagine di buona qualità nella quale il soggetto fa il segno di "vittoria" (indice e medio a formare una "V") con la mano. Nello specifico, se la foto è scattata a meno di tre metri di distanza (un selfie, ma anche un primo piano realizzato da un amico) gli hacker potrebbero essere in grado di ricostruire le impronte digitali e utilizzarle a proprio piacimento.
Obiettivi sempre più precisi
La "colpa" (o il merito, a seconda del punto di vista con il quale si analizza la faccenda) è da attribuire ai sensori fotografici degli smartphone di ultima generazione. Secondo i ricercatori dell'istituto di informatica giapponese, infatti, la combinazione di un numero crescente di megapixel (ormai anche le fotocamere frontali hanno sensori da almeno 8 megapixel) e una miglior risoluzione fa sì che è possibile ricostruire anche il più piccolo dettaglio di ciò che è impresso nell'immagine. La stessa tecnica sembrerebbe non funzionare con la scansione dell'iride, ma i sistemi di riconoscimento facciale potrebbero essere aggirati con una semplice foto in primo piano.
Un lavoro lungo e faticoso
Secondo alcuni esperti di sicurezza informatica, però, la tecnica testata dagli scienziati giapponesi del National Institute of Informatics sarebbe difficilmente replicabile. Gli hacker, infatti, dovrebbero essere particolarmente fortunati nel trovare una foto con la giusta inquadratura e la giusta illuminazione. Come se non bastasse, poi, dovrebbero impiegare diverse ore – e computer particolarmente potenti – per ricostruire alla perfezione i contorni delle impronte digitali. Un lavoro lungo e certosino, insomma, che dovrebbe garantire un ritorno – in termini di informazioni trafugate o in termini economici – di grande valore.
La biometria è per sempre
Comunque, per quanto possa apparire improbabile, si tratta pur sempre di una possibile carta che hacker e pirati informatici potrebbero giocarsi come estrema ratio. Per questo motivo Isao Echizu, professore del NII che ha condotto i test, mette tutti sull'attenti: a differenza delle password e delle domande personali, i dati e le informazioni biometriche non cambiano nel tempo e potrebbero essere utilizzate anche ad anni di distanza. Bisogna, quindi, fare molta attenzione a quello che si posta online ma, soprattutto, i produttori di smartphone e le società che sviluppano tecnologie biometriche dovrebbero attivarsi per ideare nuovi sistemi, più sicuri e a prova di hacker di alcuni utilizzati attualmente.