I colloqui di lavoro, per come li conosciamo oggi, potrebbero presto andare in pensione. A prendere il loro posto algoritmi e righe di codice che, senza mai incontrare i vari candidati, effettuano la scelta in base a esperienze pregresse, formazione professionale e accademica e feedback sulle abilità lavorative che è possibile trovare online. Una selezione a scatola chiusa, che punta a ridurre le possibili influenze esterne che potrebbero condizionare i colloqui lavorativi e portare a scelte errate. Ma sarà poi così vero?
Startup alla ribalta
A guidare questa nuovo trend sono, nemmeno a dirlo, alcune startup con base nella Silicon Valley che, con algoritmi e altri mezzi informatici, tentano di automatizzare il processo di selezione di nuovo personale. Nomi come Gild, Entelo, Textio, Doxa e GapJumpers, pur dicendo poco al grande pubblico, sono stati in grado di attirare le attenzioni di società di grandi dimensioni (ma non solo) alla ricerca di strade alternative nella ricerca di nuovi talenti da assumere. Grazie ai software che hanno sviluppato, promettono di efficientare il processo di selezione, portando all'assunzione di personale con caratteristiche personali e professionali maggiormente adatte per svolgere il lavoro.
Il fattore umano
Se gli algoritmi messi a punto dalle startup dovessero avere successo, la selezione del personale potrebbe diventare più veloce ed economica. I colloqui di lavoro, infatti, potrebbero essere ridotti al minimo indispensabili, con la scrematura delle candidature affidata ad algoritmi pensati e realizzati appositamente per lo scopo.
Gli strumenti informatici, inoltre, eliminerebbero totalmente (o quasi) il fattore umano, che spesso e volentieri influenza le scelte fatte dai responsabili delle risorse umane nel loro processo di selezione. Ciò potrebbe portare a un ambiente lavorativo più variegato, dove si è scelti in base alle proprie abilità lavorative e alle esperienze professionali accumulate e non per affinità caratteriali con chi si occupa di effettuare i colloqui di lavoro.
Il metodo Gild
Gild, una delle startup che sta emergendo in questo panorama in continuo mutamento, ha reso noti alcuni dei fattori tenuti in conto dai suoi algoritmi per realizzare una prima scrematura delle candidature.
Il software, ad esempio, scandaglia la Rete alla ricerca di progetti personali dei candidati o di informazioni non presenti nei curriculum inviati: in questo modo è in grado di entrare in possesso di dati altrimenti introvabili. Non solo: gli algoritmi di intelligenza artificiale utilizzati da Gild sfruttano i big data per tenere traccia dell'evoluzione professionale dei vari profili nel database, così da calcolare quale sia il momento più adatto per contattare un candidato e proporgli un nuovo lavoro.
Google in campo
L'automazione dei colloqui di lavoro, comunque, non sembra interessare solo startup. Anche i big del settore sono alla ricerca di nuovi canali di reclutamento. E Google, come spesso accade, è in prima linea. Un ingegnere statunitense assunto nell'agosto 2015 dalla società di Mountain View ha ammesso che tutto è iniziato da una ricerca online.
Mentre cercava informazioni su particolari algoritmi e linguaggi di programmazione tramite il motore di ricerca di Big G, ha visto comparire sul proprio schermo un pop-up davvero particolare: "Parli la nostra stessa lingua. Sei pronto per una sfida?". Da lì è partito il processo di selezione, fatto di colloqui di lavoro virtuali e reali, che ha portato all'assunzione Max Rosett.
Algoritmi discriminatori?
Come ci insegna l'esperienza, però, non è tutto oro ciò che luccica. Non sempre, infatti, è possibile eliminare i fattori di discriminazione che l'elemento umano porta all'interno del processo di selezione lavorativa. Gli algoritmi, infatti, sono ideati e realizzati da persone e gli algoritmi di machine learning si basano sul comportamento di utenti umani: in entrambi i casi, insomma, il fattore umano torna pesantemente in gioco.
Grazie a una ricerca della Carniege Mellon University (tra le più prestigiose università statunitensi) si scopre, ad esempio, che gli uomini hanno maggior probabilità rispetto alle donne di essere raggiunti da pubblicità per posti di lavoro con stipendi superiori alla media. Non solo: la discriminazione potrebbe avvenire anche in base al colore della pelle o per provenienza geografica. Insomma, non sempre gli algoritmi sono più indicati dell'uomo per effettuare delle scelte. Soprattutto in ambito lavorativo.