La realtà aumentata (augmented reality, AR) può contribuire al dibattito culturale e alla fruizione delle opere d'arte? A quanto pare sì, visto che sono già in corso i primi esperimenti sull'integrazione di questa tecnologia in musei e siti archeologici. Alcuni di questi esperimenti sono "ufficiali" e gestiti dagli stessi musei o dalle Sovrintendenze ai Beni Archeologici e Culturali, altri invece sono quasi operazioni di "guerriglia" messe in atto da artisti che operano al di fuori del mainstream.
Si tratta, per molti versi, di un nuovo mezzo per avvicinare le generazioni più giovani al mondo dell'arte e della pittura, utilizzando "interfacce" e strumenti più vicini al loro modo di "consumare" contenuti multimediali.
Il caso MoMAR
È questo il caso del recente attacco, se così si può chiamare, di un collettivo artistico che ha virtualmente preso di mira la galleria Jackson Pollock al quinto piano del Museum of Modern Arts (MoMA) di New York. Per il normale visitatore della galleria non c'è alcun cambiamento: i quadri del famoso esponente dell'action painting americano sono tutti al loro posto e senza alcun danno. Per chi ha scaricato sul proprio smartphone l'app MoMAR, non autorizzata dal MoMA, si apre invece un mondo virtuale inaspettato: visti attraverso l'app, i dipinti di Pollock sono remixati fino a diventare quasi irriconoscibili o addirittura sostituiti con opere degli artisti del collettivo.
Un artista ha incorniciato un dipinto di Pollock dentro l'interfaccia utente di Instagram, consentendo agli spettatori di mettere cuori al dipinto. Un altro ha sovrascritto le immagini di Pollack con un'interpretazione artistica delle molte teorie cospirative propagandate da Q, scrittore di estrema destra che pubblica i suoi pensieri su 4chan (la stessa piattaforma su cui è nata anche Anonymous). Tramite MoMAR otto opere "aumentate" formano una mostra virtuale chiamata "Ciao, veniamo da Internet", che usa l'AR per sfidare i guardiani del MoMA e i curatori del museo.
Non un caso isolato
Azioni simili si diffondono anche in altre città e prendono di mira altri importanti musei: l'app MoMAR è open source e il suo codice può essere utilizzato gratuitamente per "hackerare" con la realtà aumentata anche altri siti di interesse culturale. Ma questo fenomeno non è nuovo e ha radici "antiche": nel 1991 il Metropolitan Museum of Art di New York (MET) è stato il centro di progetto intitolato "Capolavori senza regista": furono distribuite audiocassette sui gradini d'ingresso al museo, che contenevano una audioguida alternativa a quella ufficiale. In questo modo i visitatori potevano avere un'altra interpretazione delle opere che stavano guardando. Lo stesso MoMA, nel 2010, ha collaborato con gli artisti Sander Veenhof e Mark Skwarek hanno che sparso opere virtuali in tutte le sue gallerie. I visitatori potevano individuarle usando gli smartphone, con una esperienza certamente limitata dalla tecnologia dell'epoca.
L'ingresso della realtà virtuale nel mondo dell'arte
Oggi, invece, strumenti come il kit AR di Apple e l'ARCore di Google rendono molto più facile ed economico sviluppare applicazioni di realtà aumentata e questo sta creando un forte dibattito in campo artistico: chi è il gestore degli spazi virtuali? È lecito che vengano organizzate "mostre alternative" negli spazi virtuali dei musei senza concordarle con la direzione? È lecito per i musei far causa a chi organizza mostre virtuali non autorizzate, o queste ultime non sono altro che l'espressione della libertà di altri artisti?
Esiste un caso reale e non virtuale che fa capire perfettamente il senso di questo dibattito: a inizio 2018 la startup Cuseum utilizzò l'Apple AR Kit per rimettere al loro posto 13 opere d'arte rubate nel 1990 dal Museo Isabella Stewart Gardner di Boston. I creatori di Cuseum trascorsero decine di ore nel museo a curare questo progetto e nel fine settimana dell'anniversario della rapina pubblicarono un sito web con anteprime dell'app, spiegando in dettaglio come avevano "hackerato la rapina". L'esperimento fu un successo e portò anche molti visitatori al museo. La direzione del museo, però, fece sapere di non aver gradito affatto questa iniziativa anche se non ha mai intrapreso alcuna azione legale.
Arte e realtà aumentata in Italia: il caso delle Terme di Diocleziano
Ci sono invece casi in cui la realtà aumentata è accolta a braccia aperte nei siti di interesse culturale. Ad esempio, alle Terme di Diocleziano, dove la collaborazione tra Fastweb, Ericsson e l'amministrazione di Roma Capitale permette ai visitatori del sito archeologico di approfondire la propria visita con ricostruzioni virtuali a 360° degli ambienti ormai distrutti. Utilizzando un display si possono anche ricevere ulteriori informazioni sulla stanza che si sta visitando e accedere a informazioni provenienti dagli archivi storici. Questa iniziativa rientra all'interno del progetto #Roma5G: la connessione mobile ultraveloce arriverà nella Capitale solo nel 2020, ma la si sta già sperimentando per offrire esperienze speciali ai turisti. Tutte le informazioni e i video di realtà virtuale ed aumentata del progetto dedicato alle Terme di Diocleziano, infatti, viaggiano su rete 5G di Fastweb.