Con miliardi di messaggi scambiati ogni giorno, l'email è tra i servizi di comunicazione più utilizzati a livello globale. Semplice da utilizzare e capace di "viaggiare" per migliaia di chilometri nel giro di pochi secondi, la posta elettronica ha contribuito in maniera decisiva a snellire e velocizzare lo scambio comunicativo tra internauti e non solo. Molto probabilmente neanche Ray Tomlinson, papà della "chiocciola" e dei primi protocolli per spedire email, aveva previsto un successo così dirompente per la sua creatura.
L'importanza crescente che questo mezzo di comunicazione ha in ambito lavorativo e professionale ha fatto sorgere dubbi su quale sia il valore legale di un messaggio di posta elettronica. Una email può essere paragonata, da un mero punto di vista probativo, alla posta certificata? Un messaggio ricevuto nella propria casella può, in caso di disputa, essere utilizzato a mo' di prova di fronte a un giudice? Le opinioni a riguardo sono diverse e la natura "ballerina" dell'email non aiutano a metterla sullo stesso piano della posta certificata.
La posta elettronica non ha valore probatorio
Secondo un orientamento giurisprudenziale, l'email non ha alcun valore legale. Anche se gli account sono protetti da password, questo non implica automaticamente che il messaggio di posta elettronica sia stato inviato dal proprietario della casella. Potrebbe accadere, infatti, che qualcuno sia riuscito a entrare in possesso delle credenziali – furto dell'identità digitale – e abbia inviato mail spacciandosi per qualcun altro; o, ancora, che un amico o collega abbia trovato la casella di posta aperta e si sia divertito a fare degli scherzi. In questi casi, secondo l'ordinamento giuridico italiano, la palla passa nelle mani del mittente: nel caso dovesse smentire il testo contenuto nell'email, questo non potrà essere utilizzato in fase di dibattimento.
La posta elettronica ha valore probatorio
Un altro orientamento giuridico, invece, prevede che la posta elettronica abbia valore giuridico al pari della posta certificata. Un'email, infatti, può essere considerata come un documento testuale accompagnato da una firma elettronica semplice e, a tutti gli effetti, un documento ufficialmente sottoscritto dal mittente. Il giudice, quindi, può decidere di includere il testo di un messaggio tra le prove di un eventuale processo e dibattimento.
A rafforzare questa posizione troviamo anche la natura tecnologica dei protocolli di posta elettronica. Ogni email, infatti, contiene un header, un blocco di codice al cui interno sarà possibile trovare l'indirizzo del mittente, ora, data, oggetto e i nodi e i server attraverso i quali è transitato il messaggio nel suo percorso da mittente a destinatario. Questo può essere considerato a tutti gli effetti una firma elettronica, simile a quelle utilizzate con la posta certificata.
I dubbi del caso
La posta elettronica, però, non è immune da attacchi hacker e potrebbe essere manomessa, pregiudicandone l'integrità. Un hacker, ad esempio, potrebbe modificare le informazioni contenute nell'header e far sembrare che un messaggio di posta sia stato inviato prima (o dopo) rispetto a quando è stato effettivamente spedito, alterando così la validità e veridicità della prova portata a supporto da una delle parti in causa.
Insomma, in mancanza di un riferimento giuridico certo, la decisione è demandata al giudice, che può decidere (in base agli elementi appena espressi) se considerare la posta elettronica un documento "ufficiale" ed equipararla, dunque, alla posta certificata.