Se tre indizi fanno una prova, allora si può dire senza timore di essere smentiti. Google è interessata all'Internet of Things. I primi due indizi erano noti da tempo: uno è Nest, società attiva nel settore della domotica e dell'IoT acquistata da Big G per circa 3 miliardi di dollari; l'altro è onHub, router Wi-Fi realizzato da Google in collaborazione con Asus, ritenuto da più parti il futuro "cervello elettronico" della casa intelligente del gigante di Mountain View.
Se vi chiedete qual è il terzo indizio dell'interesse di Google per l'IoT vi basterà guardare al Google I/O 2015 e scorrere l'elenco degli argomenti trattati. Tra questi troverete Project Brillo, piattaforma operativa per l'Internet of things che Google intende utilizzare per creare una casa smart (e non solo) a propria immagine e somiglianza.
Che cos'è Brillo
Gli appassionati di pop art dovrebbero essere piuttosto familiari con il Project Brillo. O, quanto meno, con il suo nome. Brillo prende il nome dalle spugnette abrasive rese celebri negli anni '60 da un'opera di Andy Warhol (il papà della pop art, per l'appunto). Come spiegato dagli stessi ingegneri Google, Brillo trae ispirazione proprio dal prodotto per la pulizia della casa degli anni '60 perché il suo obiettivo è quello di dare una bella ripulita ad Android.
Project Brillo, infatti, è una versione rivista di Android che, nei piani di Big G, dovrebbe fornire una piattaforma operativa ai miliardi di oggetti smart che nei prossimi anni dovrebbero affollare la nostra vita. Ciò vuol dire che Brillo dovrebbe finire all'interno di tutti gli smart devices che saranno messi in commercio nel futuro prossimo, dalla macchina per il caffè alla lampadina passando dal campanello, il forno a microonde o le automobili.
I requisiti minimi di Brillo
Il mondo dell'IoT, come visto negli esempi precedenti, è un settore estremamente eterogeneo, "abitato" da dispositivi e oggetti anche molto differenti l'uno dall'altro. Per questo motivo Google ha voluto progettare una piattaforma operativa che potesse essere adottata su smart devices di ogni genere, da quelli con poca RAM a bordo a quelli senza display. Uno dei punti fondamentali della strategia Google per l'Internet of things è stata quella di realizzare un sistema operativo con requisiti di sistema estremamente bassi, così da non restringere eccessivamente il campo di applicazione del nuovo sistema operativo per l'IoT.
I tre capisaldi
Oltre a dover essere utilizzabile da un po' tutti i dispositivi smart, lo sviluppo del Project Brillo ha dovuto rispettare altri tre capisaldi o priorità. Innanzitutto, dover essere derivato da Android. Inoltre, nei piani di Google la piattaforma operativa per l'Internet delle cose deve essere in grado di supportare chip e microchip realizzati seguendo istruzioni e tecnologie produttive anche molto differenti tra di loro. Una scelta, quest'ultima, tesa ad aumentare la flessibilità della piattaforma IoT così da permettere ai vari produttori di adottare i chipset che preferiscono. Infine, Google afferma che Brillo è anche estremamente semplice da mettere in sicurezza: un aspetto da non sottovalutare ora che sempre più attacchi hacker sono indirizzati verso oggetti smart e connessi.
Weave
La piattaforma operativa non è l'unica novità nel campo IoT presentata da Google nel corso della conferenza dedicata agli sviluppatori. Nel maggio 2015 sono stati tolti i veli anche a Weave, linguaggio di programmazione universale per la creazione di software per l'Internet delle cose. Si tratta di una libreria di termini che gli sviluppatori potranno utilizzare (e implementare con nuovi termini e nuovi significati) per realizzare dei programmi che mettano in comunicazione uno o più oggetti smart.
In coda
Rilasciato nel novembre 2015, Brillo ha trovato quasi immediatamente una folta schiera di fan. Harman Kardon, tra i leader mondiali nel settore delle periferiche audio, ha annunciato la propria intenzione di realizzare una linea di speaker che supportino Brillo e Weave prima della fine del 2016. Asus continuerà a collaborare con Google allo sviluppo di onHub e implementerà Brillo e Weave nei suoi prodotti IoT. LG, infine, vuole sfruttare la piattaforma operativa per l'IoT realizzata da Google per espandere il "raggio d'azione" dei suoi prodotti smart – televisori, ma anche frigo e altri elettrodomestici – in commercio ormai da qualche anno.