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Cervello "ibrido" connesso a Internet grazie ai memristori

Un team di ricerca composto da scienziati italiani, svizzeri e britannici ha creato un cervello ibrido con neuroni biologici ed elettronici

Cervello artificiale

Una delle frontiere più affascinanti, e allo stesso tempo più inquietanti, della tecnologia applicata alla medicina è quella di mettere in comunicazione l'uomo con la macchina, i transistor con i neuroni. Il problema, però, è che i neuroni non funzionano come i transistor ma sono molto più evoluti: non solo possono elaborare le informazioni, ma anche archiviarle.

Le comunicazioni tra neuroni, poi, sono velocissime e, come si direbbe in termini informatici, sono "altamente parallele" perché ogni neurone ha tra 5.000 e 100.000 sinapsi, cioè collegamenti attraverso i quali scambia impulsi elettrici con i neuroni vicini. Considerato che il cervello umano ha circa 80 miliardi di neuroni, è facile capire perché è in grado di processare con tanta efficienza un numero così elevato di informazioni e, soprattutto, ricordarsele.

Per questo gli scienziati stanno cercando, da anni, di imitare il funzionamento dei neuroni e di creare un cervello artificiale che funzioni come quello naturale. Una risposta, forse, arriverà dal progetto Synch, uno studio congiunto dell'Università di Padova, quella di Zurigo in Svizzera e quella di Southampton in Inghilterra.

La ricerca che esplora le potenzialità dei memristori prosegue su più fronti. I ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT) hanno creato un "cervello in un chip" utilizzando decine di migliaia di memristori come sinapsi artificiali. Un risultato pubblicato su Nature Nanotechnology che apre la strada ai dispositivi neuromorfici, cioè soluzioni basate su nuovi tipi di circuiti che processano le informazioni mimando l'architettura neurale del cervello. Altro importante studio pubblicato sulla stessa rivista scientifica qualche mese dopo è quello dell'Università del Texas, che ha realizzato i memristori più piccoli al mondo: gli atomristori, spessi appena un singolo atomo.

Cervello artificiale

Neuroni artificiali

Lo scopo della ricerca è quello di creare in vitro una rete "ibrida" di tre neuroni: uno biologico e due artificiali. Questi tre neuroni sono collegati in una rete tramite connessioni permesse da particolari "memristori", ispirati alle sinapsi dei nostri neuroni reali. Questi tre neuroni sono stati messi in comunicazione tramite Internet: i neuroni biologici sono stati selezionati a Padova dal cervello dei ratti, i neuroni artificiali sono stati prodotti a Zurigo, i memristori sono stati prodotti a Southampton.

"È una sorta di cervello elementare distribuito in diverse Nazioni - spiega Stefano Vassanelli del Dipartimento di Scienze Biomediche dell'Università di Padova, che coordina lo studio - Questa soluzione rappresenta un'innovativa modalità di collaborazione e di sperimentazione tra gruppi europei e di discipline molto diverse come le neuroscienze, le scienze computazionali e la micro e nanoelettronica".

Memristori

La parola chiave, per capire cosa stanno facendo gli scienziati italiani, svizzeri e inglesi, è "memristore". Un memristore è un componente elettronico passivo, al pari del condensatore, dell'induttore e del resistore. Ma a differenza di questi altri componenti il memristore ha la capacità di ricordare e mantenere il suo l'ultimo stato elettronico anche se viene a mancare la corrente elettrica.

Cervello con circuiti

Come i neuroni, quindi, un memristore può archiviare un pezzetto di informazione. Può anche comunicarlo all'esterno in forma analogica e questo, paradossalmente, gli permette di archiviare e trasmettere molte più informazioni di un normale circuito digitale che può rappresentare solo due stati: 0 o 1, acceso o spento. Tutte queste caratteristiche del memristore hanno portato gli scienziati del progetto Synch a sceglierlo per creare questa rete ibrida di neuroni artificiali e biologici che comunicano tra loro.

Come funziona la rete ibrida di neuroni

In una rete ibrida di neuroni biologici e artificiali i memristori fanno sostanzialmente da ponte tra i due. Una rete di neuroni artificiali integrata in un microchip è stata ad esempio connessa ai neuroni di un cervello di ratto, coltivati su un microchip, tramite due memristori. Il memristore trasmette gli impulsi nervosi e li elabora come farebbe una vera sinapsi. Il neurone cerebrale, a sua volta, comunica tramite un memristore con un secondo neurone artificiale, formando una rete ibrida di tre neuroni: due artificiali e uno biologico. Nell'esperimento, i neuroni biologici erano a Padova, quelli artificiali a Zurigo e i memristori a Southampton, e gli impulsi venivano trasmessi via internet creando una rete geograficamente distribuita.

Cervello elettronico

A cosa può servire

Se tutto andrà come gli scienziati sperano un giorno si potranno utilizzare queste reti ibride per sostituire parti del cervello danneggiate, o assisterle nel recupero funzionale dopo un trauma grave. Questo è il fine ultimo del progetto Synch, che è finanziato dalla Commissione Europea ed è gestito da un omonimo consorzio coordinato da Vassanelli e che vede, tra i partecipanti, anche altri enti pubblici e società private. "Prevediamo che questa tecnologia sarà la base per dispositivi impiantabili in cui i neuroni artificiali su chip possono salvare le disfunzioni delle reti cerebrali che lo sono danneggiati da lesioni, come un ictus, o da malattie neurologiche, come il morbo di Parkinson", spiegano i ricercatori.

Un cervello in un chip

memristoreCreare un "cervello in un chip" inserendovi decine di migliaia di sinapsi artificiali, meglio note come memristori. Questo il risultato raggiunto dagli ingegneri del MIT di Boston e pubblicato lo scorso giugno 2020 sulla rivista Nature Nanotechnology. Sfruttando le potenziali dei memristori realizzati in leghe di argento, rame e silicio, i ricercatori sono riusciti a creare delle sinapsi artificiali in grado di mimare quelle umane, ricreando i collegamenti per la trasmissione delle informazioni.

Dopo la fase di progettazione del chip, gli ingegneri lo hanno messo alla prova sottoponendolo a una serie di attività visive e hanno scoperto che il "cervello nel chip" era in grado di ricordare le immagini memorizzate e di riprodurle, anche più volte, in una risoluzione più nitida e pulita rispetto ai risultati ottenuti con memristori realizzati con altri materiali.

Il risultato ottenuto dal MIT nella progettazione dei nuovi memristori fa un passo avanti nella realizzazione di dispositivi neuromorfici, una nuova classe di circuiti in grado di processare le informazioni come farebbe il cervello umano. Le prospettive future per questa tecnologia sono inimmaginabili: i circuiti ispirati al cervello potrebbero consentire anche agli smartphone di eseguire quei calcoli complessi che oggi solo i più potenti supercomputer riescono a processare.

I memristori sempre più piccoli: gli atomristori

Ottenere il più minuscolo memristore mai realizzato, spesso appena un atomo e dalla superficie di un nanometro quadrato. L'atomristore è il risultato raggiunto dai ricercatori della Cockrell School of Engineering dell'Università del Texas, ad Austin, che è valso una pubblicazione sulla rivista Nature Nanotechnology a novembre 2020. Il prototipo sfrutta particolari caratteristiche del materiale utilizzato, il disolfuro di molibdeno, affinché siano i singoli atomi a gestire la commutazione resistiva: passando attraverso i difetti del materiale, cioè dei "buchi" nel materiale, gli atomi ne variano la conduttività e sbloccano la capacità di archiviazione di memoria ad alta densità. Proprio questa particolare caratteristica apre la strada alla realizzazione di dispositivi neuromorifici sempre più potenti.

 

A cura di Cultur-e
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