Arrivano all’improvviso sul display di smartphone e tablet, mettendoci al corrente su ciò che le app installate sul nostro device vogliono portare alla nostra attenzione. Da più di dieci anni le notifiche push sono diventate un elemento imprescindibile dei nostri dispositivi, utili suggeritori che ci aiutano a tenere sempre sotto controllo quanto accade sui dispositivi. Sappiamo che questi piccoli riquadri che a volte si accumulano nella schermata di blocco non sono arrivati insieme ai telefonini ma che ci racconta la loro storia? Tra similitudini e differenze tra gli Os principali, ecco di cosa si tratta.
Quando nascono le notifiche push
La prima notifica push apparsa su di un telefono risale al 2009. A dare loro la luce fu Apple, attraverso un servizio di alert dedicato esclusivamente agli sviluppatori di iPhone. Il suo funzionamento esulava totalmente da quanto sperimentato fino a quell'istante: gli avvisi erano in grado di portare sullo schermo i messaggi di applicazioni inattive, non solo quelle in background, una vera e propria rivoluzione.
Da lì a poco quasi tutte le app provarono a integrare tali informazioni nel proprio sistema, puntando sulla possibilità di offrire aggiornamenti costanti gli utenti che avevano precedentemente installato il software sul dispositivo. Quelle che poi non avevano l'opportunità di sfruttare certe soluzioni avanzate in termini tecnologici, potevano fare leva sul valido aiuto di Boxcar; applicazione anch’essa, forniva le comunicazioni per le colleghe ancora “mute”, rendendole a tutti gli effetti “parlanti” pure da spente.
In breve tempo, molte app iniziarono a utilizzare le notifiche push sui prodotti di Cupertino per avvisare gli utilizzatori. Un comportamento, questo, diventato rapidamente consuetudine.
Solamente un anno dopo, nel 2010, Google ha portato la stessa funzionalità sul suo sistema operativo. È così che Android ha potuto contare sui propri avvisi, similmente all’Os della Mela morsicata. Addirittura, nel 2013 Big G è riuscita a fare di meglio, inserendo nei box presenti nella home anche immagini e pulsanti azione, chiamando il contenitore “rich notification”, ovvero “notifiche ricche”. Ovviamente Apple non è rimasta a guardare: non passo molto per vedere spuntare sui dispositivi la medesima feature. È dunque dal 2014 che smartphone, tablet e altri dispositivi dell'azienda possono trarre vantaggio da questa particolare struttura dedicata alle allerte, con titolo, didascalia testuale (e tanto di emoji) e foto.
Notifiche push, in cosa consistono?
Quasi la totalità degli avvisi che vengono mostrati da telefonini e simili sono notifiche push. Che si tratti di un avviso di WhatsApp che ci avverte di un messaggio ricevuto o di un'app di shopping che ci segnala la nuova offerta da non farci scappare, o perfino il promemoria di un evento tramite calendario, ciò che abbiamo davanti agli occhi è un esempio lampante della presenza di questi speciali avvertimenti. Se la loro natura appare semplice, quello che c’è dietro le quinte è decisamente più complesso. Infatti, per funzionare correttamente queste si basano su uno di scambio di informazioni, il quale parte da un sistema centrale che, alla bisogna, invia un contenuto da mostrare sullo schermo del terminale specifico.
Il meccanismo che regola le notifiche push è piuttosto articolato, poiché comprende un dialogo stretto tra il dispositivo e il server che funge da mittente per i messaggi.
Per farlo, si utilizza un ben preciso numero identificativo che viene assegnato a ciascun esemplare dell’app in maniera univoca e registrato dal sistema operativo. Lo stesso dato viene annotato pure dal publisher, ossia da colui che invierà materialmente l’avviso. Ciascuna volta che il "cervello" principale avrà a disposizione una notifica, provvederà a inviarla all'app installata che, a cascata, “spingerà” la notizia sulla schermata. Come dapprima anticipato, le notifiche push si sono trasformate nel corso del tempo da semplici input visivi a dei contenitori ricchi di elementi; non più un testo formato da pochi caratteri, ma è possibile trovare fotografie o grafiche di diversa tipologia, pulsanti azioni e link, per citarne alcuni. In determinate situazioni, non è necessario aprire l’app perché in esse è già completamente visibile il messaggio finale.
Notifiche Push, come funzionano
Sebbene la struttura sia ormai simile tra i due sistemi operativi più famosi, fattore che si nota a colpo d’occhio confrontando i due modelli, la gestione relativa alle notifiche push è profondamente differente tra i due big del settore tecnologico. Al pari di quanto spesso accade, tra il team di sviluppo di Mountain View e quello di Cupertino la visione non può che essere agli antipodi.
Se Apple segue un modello opt-in, Google ha optato una metodologia di stampo opt-out. Stiamo parlando di due scelte diametralmente opposte ma con il medesimo fine.
In pratica, quando si installa un’applicazione su iPhone o iPad, il sistema chiede all’utente se è d’accordo a ricevere le notifiche, richiedendo quindi la sua approvazione per la visualizzazione. Differentemente, su Android il comportamento base delle app è quello di esporre gli alert; se di parere contrario, l’utilizzatore può decidere di mettere un punto e bloccarne la comparsa. In entrambi i casi, è la decisione della persona che possiede il device a consentire o meno l'apparizione delle notifiche push, visto che in ogni momento e indipendentemente dall’Os può far valere la sua opinione consentendo loro la presenza o assenza sul display del telefonino o del tablet.