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Chi è Antonio Meucci

Da Firenze a New York passando per La Havana. Queste le tre tappe fondamentali della vita di Antonio Meucci, inventore del telefono

Antonio Meucci

Una vita avventurosa, una fama che ha travalicato gli oceani, una lunga lista di invenzioni (numerose innovazioni tra cui le candele steariche, oli per vernici e pitture, bevande frizzanti, condimenti per pasta e una tecnica per ottenere pasta cellulosica di buona qualità) e una querelle lunga un secolo e mezzo. La vita di Antonio Meucci è da romanzo o quasi: arrestato e incarcerato in diverse occasioni, prima ricchissimo e poi povero in canna, sostenitore – sia politico sia finanziario – dei moti rivoluzionari dell'Italia risorgimentale, tra i maggiori inventori del XIX secolo ed il nome indissolubilmente legato all'invenzione – un po' casuale, a dir la verità – del telefono.

La vita fiorentina

Nato a Firenze, nel popolo di S. Frediano, cura di Cestello, in Via Chiara n.475 (oggi Via de' Serragli n.44) il 13 aprile 1808, Antonio Santi Giuseppe Meucci è il primo di nove figli di una famiglia della piccola borghesia fiorentina. Suo padre, Amantis di Giuseppe Meucci era custode di presidenza del Buon Governo della città gigliata, mentre la madre contribuiva al sostentamento della numerosa famiglia con qualche lavoretto da domestica.

All'età di 13 anni, grazie ai buoni uffici del padre, Meucci viene ammesso all'Accademia Belle Arti di Firenze, dove studia disegno di figura, chimica e meccanica (che comprendeva tutta la fisica allora conosciuta, compresa acustica ed elettrologia). Antonio Meucci riesce a frequentare i corsi a tempo pieno per due anni, ma è costretto ad abbandonare gli studi a causa delle ristrettezze economiche della famiglia. Continuerà, comunque, a frequentarne i corsi saltuariamente, pagando da sé la retta.

 

Antonio Meucci

 

Al compimento dei 15 anni Antonio ottiene un lavoro come aiuto portiere presso le guarnigioni preposte alle porte di Firenze e viene assegnato, nel maggio del 1824, alla Porta di S. Niccolò. L'anno successivo inizia a collaborare con l'impresario Girolamo Trentini nella preparazione e lancio di fuochi d'artificio. Fu nel corso dei festeggiamenti per il parto imminente della Granduchessa Maria Carolina di Sassonia che Antonio Meucci ebbe i primi problemi con la giustizia: un'esplosione nel corso dei terzo giorno di festa costò al giovane un passaggio alla Ruota Criminale, che concesse però il beneficio del dubbio. Meucci non poté fuggire al processo e alla condanna il 4 giugno 1825, quando provocò la caduta di un suo collega.

Meucci tornò nuovamente in galera, questa volta per questioni sentimentali, nel 1829. La carcerazione durò un mese – dal 2 maggio al 1 giugno – e lo portò a presentare le dimissioni dal suo ruolo di aiuto portiere. Da questo momento in avanti, Antonio Meucci si arrangerà lavorando per alcune compagnie teatrale come tecnico di palcoscenico e attrezzista, sino a quando non troverà un lavoro stabile presso il Teatro della Pergola.

Il laboratorio teatrale

Nell'ottobre 1833 Meucci viene assunto come aiuto attrezzista del primo macchinista Artemio Canovetti. All'interno del teatro, uno dei più tecnologicamente avanzati di inizio '800, il giovane Antonio poté mettere in pratica molte delle cose apprese negli anni dell'Accademia. Quasi fosse un laboratorio scientifico, infatti, all'interno del Teatro della Pergola venivano eseguiti esperimenti in campo chimico, acustico e meccanico. Fu nel corso degli anni trascorsi alle dipendenze di Canovetti che Antonio Meucci affinò le sue conoscenze fisiche: in un piccolo ripostiglio del teatro realizzò il suo primo laboratorio. Qui realizzò un telefono acustico che gli permetteva di comunicare con gli operai della gattaccia di manovra (una struttura posta al di sopra del palco), oltre 20 metri più in alto rispetto al suo laboratorio.

 

Antonio Meucci

 

Questo e altri accorgimenti valsero ad Antonio Meucci fama nazionale ed internazionale, tanto che nel 1835 si trasferì, assieme alla moglie, in quel de La Havana assieme ad una compagnia teatrale italiana. L'inventore rimase nella capitale cubana per ben 15 anni e si interessò, oltre che di meccanica, di chimica, acustica ed elettromagnetismo. Divenne, ad esempio, un esperto in galvanizzazione, risolse un problema dovuto alla durezza dell'acqua potabile dell'isola e si interessò di elettroterapia.

L'elettrofono

Fu nel corso degli esperimenti di elettroterapia che realizzò, casualmente, il primo prototipo di telefono. "Un giorno si presentò una persona da me conosciuta che era malata di reumatismi alla testa. Allora lo collocai nella terza stanza, gli misi in mano i due conduttori che comunicavano alla batteria, che alla fine detti conduttori tenevano un utensile, isolato dal conduttore, di sughero, della forma che qui descrivo; di sopra al detto sughero una linguetta metallica saldata al conduttore di filo di rame isolato che passava nell'interiore di detto sughero e comunicava colla batteria. Nel mio laboratorio, dove io riteneva uno strumento equale a quello che lui teneva nella mano gli ordinai di mettersi la linguetta metallica nella bocca onde essendo in comunicazione con me del fluido elettrico, desiderava sapere ove era la sua malattia. Mi misi lo stesso utensile al mio orecchio. Al momento che la persona malata s'introdusse la linguetta alle labbra ricevette una scarica e diede un grido. Io ottenni nello stesso momento al mio udito un suono". Questa la deposizione data dallo stesso Antonio Meucci nel corso del processo che, anni dopo, lo vedrà contrapposto all'ingegnere statunitense Alexander Graham Bell per l'attribuzione della paternità del telefono.

Senza volerlo, l'inventore fiorentino era stato il primo a trasmettere voce umana utilizzando segnali elettrici. Nel biennio 1849-1850 Meucci ripeté più e più volte l'esperimento, perfezionando di volta in volta il telegrafo parlante che aveva scoperto: il primo apparecchio telefonico della storia era nato – o quasi.

La vita newyorchese e il caso-brevetto

Nel 1850, scaduto il contratto che lo legava alla compagnia teatrale de La Havana, Antonio Meucci si trasferì a New York. Qui si dedicò allo sviluppo e al perfezionamento della sua invenzione. Tra il 1851 e il 1871 realizzò oltre 30 diversi modelli di telefono, riuscendo a perfezionare ricezione e trasmissione della voce usando un nucleo magnetico permanente, una bobina e un diaframma. Il 28 dicembre 1871 Antonio Meucci tentò di brevettare la sua invenzione, depositando un caveat presso l'ufficio brevetti della città di New York. Non avendo a disposizione, però, i 250 dollari necessari per depositare un brevetto regolare, si limitò a depositare i 10 dollari del caveat. Nel frattempo Meucci cercò di farsi finanziare dall'American District Telegraph Co. di NeW York, ma i consulenti della società – tra i quali troviamo anche Graham Bell – non ritennero l'invenzione sufficientemente interessante.

 

Francobollo commemorativo di Antonio Meucci

 

Nel dicembre 1874 Meucci non riuscì a farsi prestare 10 dollari per il rinnovo del caveat, così che la "prelazione" dell'inventore fiorentino sul telefono decadde il 28 dicembre 1874. Diciotto mesi più tardi Graham Bell brevettò un apparecchio telefonico molto simile a quello realizzato da Meucci. Lo stesso che l'American District Telegraph aveva rifiutato non più di tre anni prima.

Il processo

Una volta che la notizia divenne di dominio pubblico, Meucci decise di far valere le proprie ragioni, così da vedersi riconosciuta la paternità del telefono per via giudiziaria. Nacque così uno dei più complessi e articolati casi giudiziari della storia degli Stati Uniti. Sulla questione si espressero varie corti e vari giudici, assegnando la vittoria una volta a Meucci, un'altra a Bell. Lo stesso Governo degli Stati Uniti intervenne più volte per prendere le parti di Antonio Meucci, membro conosciuto e stimato della comunità italiana di New York.

Meucci, però, non sopravvisse abbastanza per vedersi dare ragione: si spense a Staten Island il 18 ottobre 1889. Il Congresso degli Stati Uniti diede definitivamente ragione all'inventore italiano solamente l'11 giugno 2002.

 

1 febbraio 2014

A cura di Cultur-e
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