Gli smartphone Android, dal punto di vista del software e del sistema operativo, sono tutti più o meno uguali. Eppure, ogni produttore spende milioni e milioni di dollari per personalizzare l'interfaccia utente dei propri prodotti, senza uscire dai confini tecnici imposti da Google. Oggi la UI è uno dei fattori che i consumatori prendono in considerazione prima di comprare un dispositivo elettronico. Chi ama i prodotti Huawei lo fa, anche, per la EMUI. Chi ama i prodotti Samsung, adora la One UI. Chi sceglie un Google Pixel, lo fa per avere l'interfaccia di Android stock.
Molto presto ciò avverrà anche per gli smart Tv e per altri dispositivi elettronici intelligenti, che in parte integrano già le interfacce utenti dei rispettivi produttori. In questo modo chi ha ad esempio un Samsung, ed è abituato a One UI, si troverà a suo agio nell'interagire con uno smart Tv Samsung. Le interfacce, quindi, "educano" ma anche "indirizzano" i consumatori all'acquisto. Secondo Mark Weiser, considerato il padre dell'informatica onnipresente, "un buon strumento è uno strumento invisibile. Per invisibile, intendiamo che lo strumento non si intromette nella tua coscienza: ti concentri su cosa vuoi fare, non sullo strumento per farlo".
La UI fa la differenza
In passato, ma lo fanno ancora oggi, i produttori di elettronica hanno presentato interfacce innovative che hanno fatto la differenza (nel bene ma anche nel male) per il successo o l'insuccesso di un prodotto. Basti pensare al rivoluzionario controller della Nintendo Wii, o al sistema Leap Motion che permette di controllare un computer con i gesti delle mani. Ma, andando ancor più a ritroso, dovremmo citare anche il mouse, senza il quale forse la storia del personal computer sarebbe stata molto diversa.
Oggi i produttori di smartphone puntano molto sulle gesture, che permettono di rendere l'uso dei dispositivi più immediato. Ma fanno anche di più: il Pixel 4 di Google integra un "motion sensing radar" chiamato "Soli" che permette all'utente di comandare il dispositivo tramite "gestures 3D". In questo modo si può usare lo smartphone senza neanche toccarlo.
La UI è una gabbia
Se una buona UI apre molte porte all'utente, va anche detto che ne chiude altrettante. Se non di più. L'interfaccia utente migliore è quella alla quale non pensi, per parafrasare il già citato Weiser, è quella che ti entra nel cervello senza neanche che te ne accorgi. Provate a dare in mano un iPhone a un "nativo" Android, che non ha mai usato un prodotto Apple in vita sua. Si sentirà frustrato, nervoso e non riuscirà a fare neanche le cose più banali con il dispositivo prima di capire come funziona. Eppure, lo sanno tutti, l'interfaccia degli iPhone è famosa per la sua semplicità.
Il cervello del "fan" Android, però, non la conosce e deve fare uno sforzo per uscire dall'interfaccia che conosce a memoria (e che quindi "non vede") ed entrare in quella dell'iPhone (che invece non conosce, e quindi vede come un ostacolo). Il discorso, naturalmente, vale anche a fan inversi: un Apple fan ha sempre difficoltà a usare anche il miglior smartphone Android.
La UI, quindi, può essere anche una gabbia, un limite per il consumatore che, specialmente se non è più giovanissimo, potrebbe provare un po' di timore a uscire dalla comfort zone creata dall'interfaccia che conosce a menadito. Secondo uno studio pubblicato nel 2016 da Dscout Research l'utente medio tocca lo smartphone 2.617 volte al giorno. Ad ogni tocco il nostro device diventa sempre più parte di noi. E noi di lui.
10 settembre 2019