Internet è uno strumento di conoscenza, di informazione, a volte di disinformazione, ma quasi sempre di libertà: come qualunque altro strumento in grado di far circolare idee, infatti, anche Internet è ormai considerato da molti un diritto. In Italia, ad esempio, c'è stata la richiesta di inserire il diritto all'accesso a Internet direttamente nella nostra costituzione: lo ha proposto nel 2010 il giurista Stefano Rodotà, che fu anche Garante per la Privacy dal 1997 al 2005, ma la proposta non si è poi concretizzata.
Nel 2016, invece, è entrato in vigore il Regolamento UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015 che sancisce il diritto a una "Internet aperta" e neutrale per tutti i cittadini dell'Unione. Merten Reglitz, che insegna Etica globale all'università di Birmingham, ha recentemente pubblicato uno studio in cui sostiene che l'accesso a Internet potrebbe migliorare notevolmente la vita degli abitanti dei Paesi in via di sviluppo. Ma passando dalla teoria delle leggi alla pratica nel mondo, scopriamo che di violazioni al diritto d'accesso a Internet se ne contano centinaia ogni anno.
La violazione più frequente, e anche la più semplice da mettere in atto, consiste nella pratica di rendere inaccessibile la connessione a Internet a singole aree geografiche o a specifiche comunità. Il rapporto "Keep It On" dell'Organizzazione non governativa Access Now, ad esempio, riporta un numero allarmante: nel 2019 sono state ben 213 le volte in cui un Governo ha "spento Internet" per sopprimere una protesta. La maggior parte di questi episodi sono avvenuti in Paesi dove notoriamente la libertà di espressione è limitata, ma sono le violazioni all'accesso a Internet in due Paesi che fanno più paura: quelle in India, che sono state 121 nel 2019, e quella avvenuta ad aprile 2019 nel Regno Unito.
L'India spegne Internet
Il blackout di Internet più lungo mai imposto da un Governo resta quello ancora in corso in Myanmar (Birmania), per la precisione negli Stati di Rakhine e Chin, ma per numero assoluto di volte in cui Internet è stata bloccata a vincere è l'India. Anche in questo caso i blackout sono selettivi e colpiscono precise aree geografiche, in questo caso gli Stati del Jammu e del Kashmir. Entrambi gli Stati sono da tempo in rotta di collisione con il Governo del primo ministro Narendra Modi.
Le conseguenze di questa scelta del Governo Modi sono state pesanti per la società civile del Jammu e del Kashmir: non solo si sono interrotte le comunicazioni tra normali cittadini, ma anche la pubblica amministrazione si è trovata nell'impossibilità di comunicare via Internet. Persino gli ospedali non hanno potuto condividere informazioni sui parenti e le loro cure, mentre l'economia locale si è trovata a dover rispondere ad una enorme sfida perché le aziende non hanno più avuto accesso a Internet da un giorno all'altro. Questo blackout è durato 175 giorni e dura ancora oggi per le connessioni mobili, che possono funzionare solo sulla vecchia e lenta rete 2G.
Il Regno Unito toglie Internet a Extintion Rebellion
Ancor più allarmante è il caso che si è registrato ad aprile 2019 nel Regno Unito, durante una settimana di proteste in strada messe in atto dal gruppo ambientalista Extintion Rebellion, che lotta contro i cambiamenti climatici. La Polizia di Londra ha impedito l'accesso a Internet in tutte le stazioni della metropolitana il 17 aprile, nel tentativo di impedire ai protestanti (circa 300 individui) di organizzarsi e proseguire le loro azioni pubbliche.
"Per motivi di sicurezza e per prevenire e scoraggiare gravi interruzioni della rete della metropolitana di Londra, la Polizia dei Trasporti britannica ha preso la decisione di limitare la connettività Wi-Fi passeggeri nelle stazioni della metropolitana", ha detto un portavoce della Polizia in un comunicato stampa dopo che si è sparsa notizia del blackout comunicativo. A questa mossa ha risposto duramente Big Brother Watch, altra Ong che si occupa di libertà civili e di privacy: "Spegnere l'infrastruttura digitale in risposta ad una protesta pacifica è una misura profondamente autoritaria".
Spegnere Internet durante le elezioni e le proteste
Il rapporto Keep It On testimonia anche 12 blocchi di Internet avvenuti durante le campagne elettorali, in Paesi come l'India, il Malawi, l'Indonesia, il Kazakistan, la Mauritania e la Repubblica Democratica del Congo. A questi si aggiunge il fermo alle comunicazioni imposto in Benin proprio nel giorno delle elezioni, un Paese precedentemente ritenuto democratico e libero. Access Now descrive tale episodio come "inaspettato" e "allarmante".
Ma i blackout di Internet più preoccupanti secondo Access Now, avvenuti durante le proteste della popolazione nelle strade, sembrano tutti studiati a tavolino non solo per disturbare le tattiche di organizzazione delle masse. In Sudan, ad esempio, nel giugno 2019 le proteste contro il Governo si sono fatte più aspre e i gruppi di attivisti hanno iniziato una serie di campagne di disobbedienza civile. Il governo ha risposto stringendo sempre di più l'accesso a Internet, fino a quando l'intero paese è stato sostanzialmente oscurato. Il 3 giugno 2019, oltre 100 persone che hanno partecipato a un sit-in apparentemente pacifico sono state uccise e altre 700 ferite, mentre i militari si mobilitavano per disperdere i manifestanti. La chiusura di Internet ha bloccato la possibilità per i manifestanti di trasmettere in streaming l'attacco violento o comunque di comunicare la violenza in corso al mondo esterno.
Uno scenario simile si è svolto in Iraq in ottobre. Con l'escalation delle proteste contro il governo, è stato dispiegato un quasi totale blocco di Internet prima che migliaia di forze di sicurezza armate fossero spedite per le strade a "ristabilire l'ordine". Almeno 100 persone sono state uccise e altre centinaia ferite o arrestate, ma nessuno lo ha potuto documentare.