Internet ha causato un'incredibile esplosione nella disponibilità di ogni tipologia di dati: dai dati personali degli utenti ai loro dati di navigazione, dalle preferenze commerciali alle abitudini quotidiane. Questa maggiore disponibilità di dati “grezzi” ha fatto accrescere l'importanza e la rilevanza di professionisti come gli information broker, intermediari dell'informazione capaci di lavorare questo materiale grezzo e “incastonarlo” in report di ogni ordine e tipo.
La storia
Già negli anni '50 alcuni bibliotecari iniziano a offrire, tanto ai visitatori quanto a industrie, dei report personalizzati su specifici settori commerciali. È dalla seconda metà degli anni '70, però, che la professione trova una sua “dignità”. Tra i pionieri della professione sono citate Darlene Waterstreet di Milwaukee, Susan Klement e Alice Sizer e Kelly Warnken.
Nel 1976 la Klerment pubblica una sorta di primo manuale della professione, mentre l'anno successivo Kelly Warnken crea la prima banca dati commerciale cui è possibile accedere pagando una sorta di abbonamento. La professione diventa sempre più conosciuta e ambita, tanto che nel 1987 si crea il primo ordine professionale dei data broker (l'Association of Indipendent Information Professionals, AIIP). E sempre a cavallo tra fine anni '80 e inizio anni '90 vedono la luce le prime banche dati remote così complesse e costose da essere inaccessibili agli utenti finali e a volte perfino alle stesse biblioteche.
L'information broker oggi
Se nel passato era sufficiente essere un bibliotecario un po' più smaliziato per poter accedere alla professione, oggi è richiesta una competenza e una capacità di analisi molto più approfondita. Tanto per intendersi: non è sufficiente avere qualche nozione SEO ed essere “bravi” nelle ricerche online. È necessario conoscere canali, anche secondari, per reperire informazioni di ogni tipo, avere la capacità di leggere tra le righe dei report e ricavarne analisi dettagliate e in linea con quanto richiesto dal committente.
L'attività principale del data broker consiste nella selezione, analisi e valutazione delle informazioni richieste dal committente. I dati sono organizzati a seconda delle necessità del cliente, riassunti in un abstract allegato a una scheda, una relazione o una raccolta di link. In questo modo, anche i non esperti potranno leggere “tra le righe” dei dati e poterli utilizzare per i propri fini.
Il data broker deve quindi comprendere e accettare le richieste del committente, pianificare una strategia e metterla in atto attraverso una ricerca informativa che sfrutti vari canali (non necessariamente solo il canae web), presentare i risultati al cliente e tenersi costantemente aggiornato su metodi e strumenti di ricerca. In questo quadro assume sempre maggiore importanza una specializzazione da parte degli information broker: affinché i loro report riescano a cogliere nel segno, devono “eleggere” un settore di analisi (chimica, economia, bancario, ecc.), concentrandosi e specializzandosi su quello.
Le criticità
Negli Stati Uniti, dove la professione è nata e proliferata negli ultimi 40 anni, sono sorti non pochi dubbi sulla legittimità e sulla bontà del lavoro di molti data broker. Almeno di quelli più “smaliziati”. Una Commissione del Senato degli Stati Uniti ha condotto un'inchiesta sul fenomeno, conclusasi con la pubblicazione del report “A Review of the Data Broker Industry: Collection, Use, and Sale of Consumer Data for Marketing Purposes” (Un'analisi dell'industria dei data broker: raccolta, utilizzo e vendita di dati dei consumatori per finalità di marketing).
Nel report si mette in evidenza come, senza farsi troppi scrupoli, molti information broker costruiscono intere banche dati con informazioni reperite in maniera non troppo legale, rivendendoli senza un chiaro consenso da parte degli utenti stessi. “Oggi – si legge nel documento del Senato – un'ampia gamma di aziende conosciute come 'data broker' raccoglie e conserva dati di centina di milioni di consumatori. Informazioni che sono analizzate, “impacchettate” e vendute senza che gli utenti ne sappiano nulla. Anche per questi motivi la Federal Trade Commission ha formalmente richiesto, nel 2012, un intervento del Congresso. C'è la necessità, si legge nel documento della Commissione federale, di una legislazione che garantisse maggiore trasparenza e un maggior controllo sui data broker.