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Il Protocollo Bundle di Vint Cerf alla base dell'Internet interplanetaria

Molte zone della Terra non sono ancora raggiunte dalla connessione Internet, ma la NASA studia come portare la Rete nello spazio. Tutto grazie a Vint Cerf e al protocollo Bundle

Una simulazione di come dovrebbe funzionare l'Internet interplanetaria con il Protocollo Bundle

Immaginate di poter chiamare via Skype vostro cugino partito come turista spaziale e ormai a metà strada nel viaggio che lo porterà a orbitare attorno a Marte. Semplici fantasie? Nemmeno troppo, perché i viaggi turistici nello spazio – ancorché non verso Marte – diventeranno presto realtà. Non solo. Esiste un progetto per realizzare una Rete interplanetaria, che permetta di estendere la connettività della Terra ben oltre l'atmosfera. Con buona pace del digital divide... terrestre. Negli ambienti specializzati il progetto è noto con il nome di Protocollo Bundle.

Vint Cerf, il visionario

 

Vint Cerf

 

L'idea è piuttosto datata – in termini tecnologici naturalmente – e risale a metà degli anni '90, quando Vint Cerf iniziò a collaborare con la NASA per la creazione di una backbone spaziale, ovvero di una dorsale di comunicazione che travalicasse i confini terrestri per espandersi nello spazio siderale. Per chi non lo conoscesse, Vint Cerf è uno dei padri fondatori di Internet: assieme a Bob Kahn ha realizzato il protocollo TCP/IP, la base dello scambio comunicativo all'interno di una Rete come Internet. Erano gli anni '70 e Cerf era considerato da molti un visionario. Un'opinione ancora valida ora che Cerf è a capo degli Internet evangelist di Google e collabora, per l'appunto, con la NASA per la creazione di un insieme di protocolli –detto Protocollo Bundle - che possa estendere la Rete delle Reti anche nello spazio.

DTP, il protocollo interplanetario

Cerf ha quindi iniziato a gettare le basi per il Disruption Tolerant Protocol (DTP), che permette di risolvere alcuni dei problemi più gravi legati alla trasmissione spaziale dei dati. A differenza delle reti terrestri, in una rete interplanetaria i dati devono viaggiare per migliaia, se non milioni, di chilometri, impiegando anche diversi minuti prima di raggiungere il nodo “obiettivo”. I normali protocolli utilizzati per Internet – come lo stesso TCP/IP ideato 40 anni da Cerf – non possono quindi trovare applicazione in una rete che travalica i confini dell'atmosfera terrestre: molti dei pacchetti dati in viaggio finirebbero con il perdersi, rendendo praticamente inutile il tentativo di comunicazione tra la Terra e i dispositivi extraterrestri.

Il protocollo spaziale deve quindi prendere in considerazione i possibili ritardi e le possibili interruzioni nella comunicazione tra i due nodi – quello terrestre e quello extraterrestre, perché saranno proprio i nodi della Rete a giocare un ruolo fondamentale nella soluzione ideata da Cerf e dal team di lavoro del JPL (Jet Propulsion Laboratory) della NASA. I dati da inviare, infatti, verranno “trattenuti” in memoria per un tempo più lungo rispetto a quanto accade in una rete TCP/IP, così da aggirare all'origine i problemi legati alla latenza e alla perdita di pacchetti nel corso dell'invio dei dati.

I nodi del Protocollo Bundle

Al momento, però, questa rete extraterrestre può contare solamente su una manciata di nodi. Nonostante copra distanze per milioni di chilometri, i nodi attualmente attivi si possono contare sulle dita di due mani: c'è il Deep Space Network, che funziona da base terrestre per la Rete, la Stazione Spaziale Internazionale, i rover marziani Spirit, Opportunity e Curiosity, la sonda spaziale Phoenix Lander ed EPOXI, una navicella spaziale che ha il compito di studiare la composizione chimica di due comete e capace di utilizzare il Protocollo Bundle a 32 milioni di chilometri di distanza dalla Terra.

La speranza di Cerf è che il Protocollo Bundle divenga ben presto uno standard per le comunicazioni spaziali, così da poter estendere la Rete e aumentare il numero dei nodi coinvolti. I satelliti inutilizzati che orbitano attorno alla Terra, ad esempio, potrebbero essere riconvertiti in ripetitori e nodi dell'Internet interplanetario.

LEGO e robot

Nel frattempo, la NASA e l'ESA (l'ente spaziale europeo) stanno testando il DTP e gli altri protocolli del Bundle per verificarne la funzionalità e le possibili applicazioni pratiche nello spazio.

Lo scorso novembre, il team della Expedition33 capitanato dal comandante Sunita Williams è stata in grado di teleguidare dall'interno della Stazione Spaziale Internazionale un piccolo robot costruito con mattoncini LEGO posto all'interno dell'European Space Operation Centre di Darmstadt, in Germania.

“La dimostrazione – si legge nella nota stampa della NASA e dell'ESA – dimostra che l'utilizzo di nuove strutture di comunicazione per controllare un robot anche a decine di migliaia di chilometri di distanza è fattibile”. L'esperimento è stato condotto utilizzato il Disruption Tolerant Protocol, dimostrando la possibilità pratica – e non solo teorica – di realizzare una rete spaziale simile a Internet, che permetta di inviare dati e comandi tra due nodi distanti migliaia di chilometri.

A cura di Cultur-e
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