In principio c'erano gli SMS con il loro limite massimo di 160 caratteri. Un numero esiguo, dettato da stringenti ragioni tecniche e tecnologiche. Fu la stagione delle abbreviazioni: frasi e concetti dovevano essere ridotti all'osso per non sforare e si adottavano le tecniche di scrittura sintetica tra le più fantasiose. Vocali che scomparivano improvvisamente, la k al posto di ch, la x al posto di per. Una combinazione del genere, ad esempio, portava a ridurre perché in xké. Niente male.
Poi vennero le chat e i messenger con i loro emoticon: le emozioni e i sentimenti non passavano più da parole e sguardi, ma da una faccina sorridente, un cuore pulsante (o infranto), da uno sguardo stralunato o imbronciato.
Il linguaggio al tempo dei social
Osservando questi fenomeni si capisce che il linguaggio, complici social network, SMS e servizi di messaggistica istantanea vari, sta mutando profondamente. Si fa un uso sempre maggiore di abbreviazioni (tipo quelle ricordate in precedenza), di acronimi (come Lol, rotfl, imho, omg, eccetera) e di emoticon; sta divenendo sempre più comune esprimere concetti anche complessi con un numero limitato di parole e lettere. Il linguaggio si sta “socializzando” e questo mutamento porta con sé un carico di aspetti positivi, controbilanciato però da altrettanti aspetti negativi.
Il linguaggio, ad esempio, sta diventando più immediato e sintetico: in una parola economico. Un fatto assolutamente positivo, dato che tutte le lingue del mondo tendono ad ottenere il massimo risultato comunicativo con il minimo sforzo cognitivo. Dall'altro lato, però, ciò comporta un aumento degli errori grammaticali e di battitura. Secondo una ricerca condotta dall'istituto Brandwatch, lo 0,58% delle parole presenti su Twitter (ovvero 1 ogni 179) è scritta in maniera errata.
Vado di fretta
Secondo una ricerca condotta dall'Università di Manchester, gran parte degli errori (sia grammaticali che refusi) sono dovuti alla fretta con cui si digitano i messaggi. “L’uso crescente delle varianti ortografiche su Internet – afferma Lucy J. Scotsman, una delle ricercatrici dell'università britannica – è stata provocato da persone che digitano a gran velocità in chat e sui siti di social networking dove l’atteggiamento generale è che non c’è nessuno bisogno di conformarsi alle regole di ortografia”.
Secondo il professor John McWorther, docente di linguistica presso la Columbia University, si sta semplicemente sbagliando bersaglio. Il linguaggio utilizzato sui social network o nei messaggi non deve essere analizzato con gli stessi strumenti e le stesse strutture utilizzati per l'analisi linguistica “ordinaria”. Il texting (ovvero il linguaggio utilizzato negli SMS, nei messenger e sui social network) è una categoria linguistica a sé, con i propri modelli, le proprie regole e le proprie strutture. Una sorta di linguaggio delle dita (fingered speech nell'articolo originale) evolutosi negli ultimi anni.
Davide contro Golia
Per la lingua italiana la sfida sembra essere ancora più dura. In ambito tecnologico – e social di conseguenza – la lingua ufficiale è l'inglese e, almeno nel Bel Paese, ammette ben poche eccezioni. Parole come post, link, tag, account sono entrate a far parte del nostro linguaggio quotidiano andando a rimpiazzare, in alcuni casi, gli equivalenti italiani (link per collegamento, ad esempio).
La madre di tutte le traduzioni mancate, però, è un'altra. Social network è facilmente traducibile con rete sociale; forma utilizzata, però, molto raramente poiché poco commerciale e, probabilmente, meno orecchiabile dell'alternativa inglese. Così l'Accademia della Crusca (l'istituzione che si occupa di acquisire e diffondere nella società la conoscenza storica dell'italiano) è stata più volte chiamata a esprimersi sulla correttezza di neologismi derivanti dalla lingua inglese e da tecnicismi vari. Un esempio è la discussione nata attorno all'italianizzazione del verbo inglese to scan: meglio scansionare, scannerizzare o scannare? Agli Accademici l'ardua sentenza. Anche l'Istituto Treccani è più volte intervenuto sull'argomento, “importando” dall'inglese e dal linguaggio tecnico un gran numero di nuove parole divenute d'uso comune. Nel suo elenco di neologismi – aggiornato quasi quotidianamente – si contano ben tredici parole derivate da Google che vanno dal verbo googlare (fare ricerche su Google) ai sostantivi googlephone e googlefonino (smartphone o telefonino prodotto da Google).
La lingua italiana, insomma, è divenuta sempre più terra di conquista per termini stranieri o termini tecnici di vario genere. Una lotta impari, una riedizione in salsa linguistica della biblica lotta tra Davide e Golia. Ma non c'è bisogno, per il momento, di fasciarsi la testa.
Mutamento linguistico
A molti può apparire come un monolite sempre uguale a se stesso, immutabile. Ma è vero l'esatto contrario: la lingua è un essere vivente e come tale si evolve e si adatta all'ambiente in cui trova a “proliferare”. In questo caso la società umana.
Nell'ambito della linguistica questo fenomeno si chiama mutamento linguistico e altro non è che l'equivalente dell'evoluzione biologica applicato al linguaggio. Un esempio può essere quello dell'evoluzione delle lingue romanze (italiano, spagnolo, francese e rumeno), evolutesi dal latino ma oggi profondamente differenti l'una dall'altra. Lo stesso italiano di Dante (o Manzoni) è molto differente rispetto a quello utilizzato oggi. Basta sfogliare qualche pagina della Divina Commedia (o dei Promessi Sposi) e un quotidiano per capire come l'italiano sia cambiato nel giro di appena qualche secolo.
Insomma, non c'è da fasciarsi la testa. Il mutamento cui assistiamo in questi anni fa parte di una dinamica interna di ogni linguaggio ed è assolutamente naturale. E, soprattutto, non è detto che ciò sia indice di un imbarbarimento o di un decadimento del linguaggio.
18 ottobre 2013