Può un procedimento dal numero di passi finito e predeterminato a priori salvare il destino lavorativo delle donne? A Google pensano di sì. Tanto che per far fronte all’emorragia di talenti femminili, l’azienda della Silicon Valley ha deciso di affidarsi a un algoritmo. L’obiettivo? Capire quali sono gli ostacoli che rallentano le carriere in rosa o che addirittura portano le donne a ritirarsi fin dai colloqui di selezione.
A rivelare al mondo l’ansia da quote rosa di Google è stato un articolo del New York Times. Eppure, a detta di molti, fare lo sforzo di affidarsi a un algoritmo sarebbe inutile. Perché ad ascoltare con attenzione i rumors che da mesi girano intorno all’azienda di Mountain View, il nome e cognome del colpevole sono facili da individuare. Sul banco degli imputati è finito, infatti, Larry Page, fondatore di Google, da poco più di un anno Ceo dell’azienda. Con la riorganizzazione aziendale decisa da Page, infatti, le donne hanno iniziano a essere estromesse dalle decisioni che contano o sono state scavalcate dagli uomini nelle promozioni. Un esempio su tutti è quello di Marissa Mayer, primo ingegnere donna assunto da Google, per anni a capo del business più profittevole per Mountain View – quello legato al motore di ricerca –, che nei mesi scorsi ha deciso di salutare amici e colleghi e di trasferirsi dalla concorrenza. Ad aprirle le porte è stata Yahoo!, che grazie al suo impegno come amministratore delegato spera di recuperare le posizioni di mercato perse negli ultimi anni.
A complicare il quadro sono i numeri. Dall’arrivo di Larry Page nel ruolo di amministratore delegato ben quattro donne sono state escluse dal comitato decisionale, il cui numero complessivo di membri è passato da 15 a 11. Oltre alla Mayer, Page ha “liquidato” anche Rachel Whetstone, responsabile della comunicazione e Shone Brown, che guidava le business operations e adesso è passata a Google.org, il braccio filantropico di Google. Sul versante opposto, percentuali a doppia cifra sembrano attestare ancora Google tra le aziende dall’anima rosa. L’azienda ha tenuto a precisare, infatti, che dei 34.300 dipendenti, più del 33% è donna, una percentuale ben al di sopra del 25% rilevato dalle statistiche nel settore. C’è chi sostiene, inoltre, che le difficoltà nel reperire talenti femminili sia insuperabile per Google a causa del settore tecnologico-ingegneristico nel quale opera, dove i laureati superano nettamente le laureate.
Ma a cosa è dovuta la ricerca disperata di donne da parte di Google? La risposta ce la dà Sylvia Ann Hewllett, ricercatrice sui temi del gender diversity alla Columbia University e presidente del Center for Talent Innovation. “Avere donne leader non è solo una questione di equità. In particolare in aziende di tecnologia, la presenza femminile ai vertici contribuisce all'innovazione e alla capacità di un'azienda di sfruttare i nuovi mercati”.
Basterà un algoritmo per considerare e mettere insieme tutti questi fattori?
04 settembre 2012
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