Guardare dentro l’occhio per capire cosa sta guardando: questo è il principio alla base dell’eye tracking. Non c’è bisogno di un particolare impianto tecnologico per scoprire cosa c’è al centro dell’attenzione: è sufficiente una videocamera pronta a catturare ogni movimento del bulbo oculare, del volto o della pupilla per conoscere alla perfezione ciò a cui si sta mirando.
Eye tracking, cosa rivela lo sguardo
Un procedimento così semplice ma, allo stesso tempo, così privato può nascondere dei rischi per la privacy del soggetto di tale osservazione. Infatti, alla base dell’eye tracking vi possono essere differenti motivazioni che possono spingere alla necessità di controllare l’oggetto della vista.
Uno sguardo può aprire la porta sui dati biometrici dell’osservatore, sugli interessi oltre che sulle preferenze in generale, emozioni e altri tipi di caratteristiche completamente personali.
Anche la forza di tale sentimento può essere stabilita tramite l’osservazione dell’occhio: trascorrere una quantità di tempo maggiore su un dettaglio potrebbe rivelare un interesse pulsante, come evitare di incontrarlo con lo sguardo potrebbe significare l’esatto contrario. Combinata con altri elementi chiave rilevabili tramite l’osservazione del volto, poi, la deduzione potrebbe mostrare altre caratteristiche ancora più mirate e private.
Uno studio condotto da Jacob Leon Kröger, Otto Hans-Martin Lutz e Florian Müller datata 2020 e nata dallo sforzo combinato di diversi istituti di ricerca tedeschi ha proprio voluto mettere in luce le caratteristiche dell’eye tracking, sottolineando non solo le informazioni che è possibile trarre dal monitoraggio dell’osservazione dell’occhio ma anche la possibilità di diagnosticare patologie fisiche e mentali o processi cognitivi, mettendo di fatto in luce una quantità e una tipologia di informazioni estremamente riservate. Sono infatti molte le patologie che si rivelano anche attraverso l’osservazione dell’occhio, dai disordini dello spettro autistico a quelli legati ai deficit dell’attenzione, fino a malattie come Parkinson, schizofrenia o morbo di Alzheimer. Diventa dunque chiaro come sia necessario tutelare tali dettagli della nostra esistenza per evitare di dare in pasto dati sensibili senza la nostra autorizzazione.
Eye tracking, dall’occhio all’identità biometrica
L’osservazione dell’occhio e delle sue caratteristiche può creare una particolare carta d’identità dell’individuo: dal colore dell’iride alle espressioni facciali, il numero e la disposizione delle rughe intorno agli occhi così come il colore stesso della carnagione. Dal punto di vista del movimento, poi, la velocità dello spostamento dello sguardo così come la reattività della pupilla sono tratti distintivi dell’attività cerebrale di ogni persona.
Leggerli crea una mappa ancora più precisa di un elettroencefalogramma: basta interpretare la dilatazione della pupilla per comprendere distintamente l’impegno dell’attività cerebrale in un distinto momento.
E questo, poi, si traduce anche in un monitoraggio dei livelli di dopamina: un altro dato fondamentale che può essere, dopo la catalogazione, interpretato in differenti modi dall’intelligenza artificiale. Stress, allegria, tristezza, curiosità, nervosismo: sono tutti tratti che possono essere facilmente analizzati durante l’osservazione dell’occhio. Per questo una simile informazione richiede un tipo di manipolazione estremamente attenta e accurata. Addirittura, studi hanno provato che anche le fobie e interessi di tipi sessuale possono essere facilmente catturati da semplici movimenti davanti a specifiche immagini.
Eye tracking, a cosa può servire
Se utilizzati con attenzione, questi dati possono essere altamente rivelatori. Se si osserva lo scenario dal punto di vista del marketing, è chiaro come possa trattarsi di un pozzo di risorse potenzialmente illimitato e autoalimentato. Infatti, tramite i device disponibili sul mercato, algoritmi, esperti del settore e intelligenza artificiale, chi ha la possibilità di raccogliere tali dati ha in mano - almeno sulla carta - i gusti e gli interessi di una fetta enorme della popolazione mondiale.
Basta pensare a Facebook, attraverso i visori di realtà virtuale che utilizzano la tecnologia del tracciamento oculare: l’investimento multimiliardario nel settore potrebbe aprire le porte ai dati di circa 2.3 miliardi di persone, abbastanza per muovere il mercato secondo la propria volontà.
E Facebook è solo una, anche se tra le più potenti. A quale scopo, però? Campagne personalizzate, secondo i propri interessi e condizione. Non si tratta più esclusivamente di indovinare il prodotto giusto da promuovere per l’utente, ma anche avere una buona probabilità di conoscere il momento migliore in cui presentarlo e l’umore con cui il destinatario del messaggio potrà affrontare la proposta. Insomma, carta bianca per andare a segno.
Eye tracking, dov’è la privacy?
Chiedere alle compagnie di limitare l’uso o eliminare la mole di dati già registrata è un’opera non solo complessa ma estremamente difficile da ottenere. È sul futuro che bisogna agire, anche in maniera rapida vista la velocità con cui tali tecnologie tendono a evolversi. Una delle mosse da compiere potrebbe essere quella della conservazione dei dati per un tempo limitato: una volta raccolti, le compagnie dovrebbero essere tenute a disfarsene entro determinati limiti, evitando di sfruttare i dati come biblioteca da cui continuare ad attingere nel tempo. Lo stesso vale per la metodologia di conservazione: il dato grezzo, anonimizzato, potrebbe essere utilizzato sì per lo studio ma non per la targettizzazione del soggetto.
In pratica, un mero campione di studio non associabile ad alcun individuo sulla faccia della terra.
Si eviterebbero, così, eventuali implicazioni future, magari con informazioni sfruttate da futuri datori di lavoro, assicuratori o altri attori che potrebbero attingere a tali informazioni per effettuare un’analisi della reputazione dell’individuo. Sono solo alcune delle ipotesi al vaglio ma che, nel futuro prossimo, dovrebbero essere implementate per tenere sotto controllo eventuali ripercussioni sulla privacy degli utenti. E, in un futuro sempre più digitalizzato, la sicurezza dei propri dati non è mai abbastanza.