Tutte le startup sono tecnologiche, molte sono hi-tech, ma alcune lo sono più di altre: sono quelle che si occupano di "deep technology" o, come le preferiscono chiamare i venture capitalist che iniettano centinaia di milioni di dollari in queste aziende, "deep tech". Questo termine, d'altronde, è stato inventato da Swati Chaturvedi, fondatore di Propel X che è la prima piattaforma al mondo dedicata agli investimenti in startup deep tech. Tra "hi-tech" e "deep tech", quindi, la differenza c'è ed è molta. Ed è significativo che nemmeno aziende innovative come Uber possano essere fatte rientrare nel novero delle deep tech.
Startup Deep tech: quali sono
Per essere definita "deep tech startup" un'azienda deve avere alla base una scoperta scientifica dirompente, di quelle che possono cambiare la vita delle persone. Per tornare all'esempio di Uber: l'azienda americana non è deep tech perché il suo modello di business si basa sulla sharing economy, che è una novità importante ma non una rivoluzione.
Diverso è il caso di aziende che si occupano di guida autonoma, o di taxi volanti. E Uber, non a caso, sta cercando di sviluppare anche questi filoni tecnologici per entrare nella lista, assai ristretta, di aziende deep tech. Con tutti i risvolti finanziari che ne derivano. Al contrario, è decisamente deep tech un nuovo dispositivo medico salvavita o una tecnica per combattere il cancro, l'analisi dei dati per aiutare gli agricoltori a coltivare più cibo inquinando di meno o una soluzione di energia pulita che riduce l'impatto umano sui cambiamenti climatici.
Il dilemma delle startup deep tech
Nella vita, si sa, ci vuole anche fortuna. E le aziende deep tech di fortuna ne devono avere anche di più: se è vero che quelle che ricevono finanziamenti dai venture capitalist riescono a sviluppare le loro "tecnologie profonde", è anche vero che non tutte riescono ad attrarre capitali. Il problema di fondo è semplice da spiegare: queste aziende sono così avanti, quasi visionarie, che non tutti le capiscono. Dall'altro lato della medaglia, capita che gli investitori si facciano sfuggire dalle mani il cavallo vincente perché non riescono a capire il potenziale di una nuova tecnologia sviluppata da una startup. Nonostante ciò, negli ultimi anni gli investimenti in tecnologia avanzata hanno visto un aumento significativo e, certamente, cresceranno ancora nei prossimi anni.
Startup deep tech: le italiane più promettenti
È molto interessante notare che, quando si parla di startup deep tech, l'Italia è messa molto meglio che in altri settori. Diverse sono infatti le aziende del nostro Paese che si occupano di tecnologia profonda, in svariati settori. La bolognese Biogenera, ad esempio, lavora per creare farmaci personalizzati, in base al DNA dei pazienti. Il potenziale è enorme: un farmaco mirato non solo alla malattia, ma anche al paziente, ha molti meno effetti collaterali ed una efficacia di gran lunga superiore. Un'altra azienda bolognese, Bio-On, partendo dallo zucchero ha sviluppato un biopolimero utile a creare materiali plastici. La plastica di Bio-On, però, ha una caratteristica incredibile: è biodegradabile in pochi giorni in acqua batteriologicamente non pura (ad esempio quella di un fiume).
A Siena, in Toscana, Braincontrol sta invece lavorando ad un dispositivo medico altamente innovativo: un'interfaccia uomo-macchina che potrebbe permettere a chi è in una condizione di disabilità motorie di usare dispositivi esterni per muoversi. La "Brain-Computer Interface" interpreta la mappa elettrica corrispondente a determinate attività cerebrali e la utilizza per impartire comandi ad un eventuale arto robotico. A Rovereto, in provincia di Trento, c'è invece la startup Chino che si occupa di cybersecurity applicata ai dati sanitari, mentre a Milano (ma ha una sede anche a Cambridge, in Massachusetts) c'è Empatica che produce una sorta di smartwatch in grado di monitorare le contrazioni tonico-cloniche dei muscoli tipiche degli attacchi epilettici e, in caso di crisi convulsiva, inviare tramite un'app un messaggio di allarme a medici e parenti. A Modena, infine, c'è NeuronGuard che ha sviluppato un collare da usare in caso di lesioni cerebrali acute. Il collare abbassa la temperatura del collo e del cranio e infonde un sedativo al paziente, per rallentare gli effetti della lesione cerebrale e dare più tempo ai medici per intervenire.
9 ottobre 2019