Nuvole di gas e stanze piene di cavi elettrici e ventole. A risollevare l’Islanda da una crisi economica che, solo pochi anni fa, l’aveva costretta verso un default “pilotato”, potrebbero essere i data center. Avete presente quelle stanze piene di computer sempre operativi, che garantiscono la conservazione dei dati e la sopravvivenza del web? Sì, proprio quelli. Grazie alle caratteristiche geografiche e alle risorse naturali presenti sul suo suolo,l’Islanda è diventata un punto di riferimento strategico nel mercato dei CED.
Temperature molto basse, energia elettrica a basso costo e a basso impatto ambientale, hanno trasformato il Paese dei geyser nel regno dei data center. I motivi? Di natura prettamente economica. Per funzionare correttamente i CED hanno bisogno di strutture dove è necessario mantenere un'alimentazione corretta dal punto di vista elettrico e garantire condizioni idonee di umidità e temperatura. Una sorta di circolo vizioso, che comporta un doppio consumo di energia: da un lato, quella per alimentare le macchine, dall’altro, quella per raffreddarle e fare in modo che non si surriscaldino. Basti pensare che il totale dei centri elaborazione dati di tutto il mondo consuma tanta energia quanta ne consumano Italia e Francia messe insieme.
L’Islanda è la risposta a questi problemi. Il clima rigido offre, infatti, una soluzione naturale al surriscaldamento delle macchine, mentre le risorse geotermiche consentono di produrre energia pulita a costi contenuti. I risparmi ottenuti permettono alle società proprietarie di data center nel Paese di abbattere i costi di gestione e offrire ai clienti di tutto il mondo prezzi estremamente concorrenziali rispetto ai competitor presenti sul mercato. Ma l’Islanda strizza anche l’occhio alla green economy, tanto da essere stata scelta dalla compagnia Verne per lanciare nel 2011 il primo data center a impatto zero. Che sia l’inizio di una nuova era green friendly per colossi di Internet?
17 agosto 2012
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