Nonostante i prezzi per acquistare una stampante 3D calino a ritmi impressionanti (bastano poche centinaia di euro per portare a casa un dispositivo per la stampa 3D), la tecnologia alla base del funzionamento di una stampante 3D resta ancora un mistero per la gran parte delle persone. Sono poche, ad esempio, a conoscere i materiali utilizzati nel corso del processo di stampa, ancora di meno sanno che è possibile costruire una stampante 3D in casa senza grossa fatica.
Potreste rimanere scioccati, dunque, dal sapere che ben presto la stampa tridimensionale potrebbe essere soppiantata dalla stampa 4D, capace di "dare forma" anche al tempo. Diversi istituti di ricerca in tutto il mondo, Massachusetts Institute of Technology e Harvard in testa, stanno mettendo a punto tecniche di stampa e materiali di stampa che permettono di realizzare oggetti in grado di "evolvere" nel tempo e adattarsi a diverse condizioni dell'ecosistema in cui si trovano a prosperare.
Si tratta, di fatto, di una stampante 3D capace di utilizzare filamenti organici o compositi che, sottoposti all'azione di un reagente (l'acqua ad esempio, ma anche il calore o forti vibrazioni), cambiano la loro forma così da adattarsi a un nuovo ambiente o prepararsi a svolgere nuovi compiti e funzioni. La stampa 4D, dunque, potrebbe rivelarsi particolarmente utile in campo medico e biologico: sfruttando materiali particolarmente elastici, si potrebbero stampare tessuti e organi da utilizzare per trapianti su esseri viventi (compresi gli esseri umani).
La quarta dimensione del MIT
A guidare questa nuova rivoluzione scientifica troviamo, come spesso accade, degli studiosi del Massachusetts Institute of Technology, questa volta affiancati dalla startup Stratasys (attiva nel campo delle stampanti 3D) e dalla software house Autodesk (celebre per i suoi programmi di computer grafica e progettazione aiutata al calcolatore). Il gruppo di lavoro guidato da Skylar Tibbits – riunito nel Self-assembly Lab – studia da tempo materiali in grado di cambiare forma una volta esposti a sostanze reagenti (come acqua) o condizioni fisiche particolari (aumento improvviso del calore).
Questi studi hanno portato alla realizzazione di prototipi in grado di cambiare forma e struttura una volta bagnati. Il segreto della stampa nella quarta dimensione degli studiosi del MIT sta nella geometria e nella stratificazione. Usando una speciale stampante 3D, infatti, il gruppo guidato da Skylar Tibbits ha realizzato diversi oggetti composti da due o più strati (e altrettanti materiali filamentosi): il primo serve a dare la "forma originaria" all'oggetto, mentre il secondo è la "forza", il "detonatore" che serve a modificare la forma e la struttura dell'oggetto stesso. Nei primi esperimenti del MIT l'acqua è stata utilizzata come reagente ma, spiega Skylar Tibbits, nel prossimo futuro si potrebbero utilizzare materiali sensibili a repentini cambiamenti di temperatura.
Diversi i settori in cui questa nuova tecnologia di stampa 4D potrebbe trovare impiego. Si va dalla costruzione di mobili alla realizzazioni di mezzi di trasporto come auto o biciclette, passando per edifici e altre strutture complesse. Un esempio fatto dallo stesso Tibbits aiuta più di ogni altra cosa a comprendere la portata della scoperta del Self-assembly Lab: pensate di andare all'Ikea, comprare una sedia (un mobile qualunque) e, una volta portata a casa, vederla "montarsi" da sé non appena esposta alla luce del sole. Letteralmente rivoluzionario.
Ad Harvard si stampa la cellulosa
Nel dicembre 2015 un gruppo di ricerca del Wyss Institute dell'Università di Hardvard ha pubblicato sulle pagine di Nature Material i risultati di una ricerca pluriennale condotta da Jeniffer Lewis e altri studiosi statunitensi. Il gruppo di scienziati, in particolare, si è concentrato sulle qualità fisiche e biologiche della cellulosa (le cui fibre costituiscono gran parte della struttura di un vegetale) per realizzare un idrogel capace di reagire alle differenti condizioni climatiche e meteorologiche.
Diversi aspetti dell'esperimento condotto dagli studiosi di Harvard hanno attratto l'attenzione della comunità scientifica internazionale. Uno più di tutti, però, ha solleticato l'interesse di altri ricercatori: la cellulosa, così come accade nei vegetali, reagisce e si "muove" in maniera differente a seconda di come sono allineate le sue fibre. Il gruppo condotto da Jennifer Lewis è quindi riuscito a realizzare un filamento di idrogel sufficientemente "malleabile" e un modello matematico in grado di predire la reazione all'acqua e al calore di oggetti stampati in 4D.
I meriti del gruppo di ricerca del Wyss Institute sono vari. Come sottolineato dal Direttore Scientifico dello stesso istituto di Harvard, il gruppo diretto da Jennifer Lewis ha fatto dei sostanziali passi in avanti nel campo della stampa nella quarta dimensione, dimostrando come sia possibile utilizzare qualunque tipo di materiale "reagente" all'acqua o al calore per realizzare oggetti di qualunque tipo. Il prossimo passo dovrebbe essere il più interessante: studiare la fattibilità di realizzare organi umani, da utilizzare
Il futuro prossimo della manifattura
Skylar Tibbits e Jeniffer Lewis, però, non sono i primi scienziati a occuparsi di stampa 4D. Già nel 2013 un professore di Ingegneria meccanica della university of Colorado – Boulder aveva presentato i primi oggetti stampati in 3D "cangianti". Jerry Qi, questo il nome dello studioso statunitense di origine cinese, ha utilizzato un materiale composito basato su fibre di polimero in grado di cambiare forma e struttura geometrica se esposto a un repentino aumento di temperatura.
Questi filamenti di polimeri possono essere usati da speciali stampanti 3D per realizzare oggetti di qualunque forma e per qualunque scopo. La loro peculiarità, però, è quella di assumere una nuova struttura geometrica se esposti a fonti di calore elevato: in questo modo potrebbero trasformarsi (letteralmente) in qualcosa di completamente differente dall'originale. Una tale tecnologia potrebbe essere particolarmente utile per realizzare pannelli solari da utilizzare nel corso delle missioni spaziali: inizialmente piccoli e ripiegati su se stessi, potrebbero assumere la loro forma definitiva una volta che la navicella o il modulo spaziale sono ormai in orbita, riducendo così il loro ingombro e le possibilità che possano danneggiarsi nel corso del lancio.