Pensate che avere un computer gratis sia impossibile? Non più grazie al trashware, il fenomeno che ogni anno permette di recuperare migliaia di PC usati e di “riportarli” in vita. Una pratica che in Italia vede impegnate moltissime amministrazioni ed enti locali, che in alcuni casi hanno costituito consorzi e dato il via a imponenti progetti di recupero di materiale informatico e di riciclo dei PC.
È il caso, ad esempio, del progetto Anch’io PC, promosso e patrocinato da 90 comuni dell’Emilia Romagna e che ha permesso, nel solo 2012, di recuperare centinaia di computer usati e di regalarli a scuole e altri enti. L’iniziativa emiliana si compone di tre fasi: la fase della raccolta, quella della rigenerazione e quella dell’incontro. Il momento della raccolta e della rigenerazione servono a mettere in pratica il trashware: vengono raccolte macchine funzionanti o parzialmente funzionanti, vengono smontate e poi riassemblate all’interno del laboratorio di Anch’io PC. Da questa piccola, grande catena di montaggio di riparazione dei PC è possibile produrre computer praticamente nuovi e perfettamente funzionanti grazie alla distribuzione Linux Ubuntu. L’utilizzo di software gratuiti e open source è, infatti, parte integrante di ogni progetto trashware che si rispetti, e Anch’io PC è uno di questi. La terza e ultima fase è quella degli incontri, durante la quale i computer usati e recuperati vengono utilizzati per tenere dei corsi di alfabetizzazione informatica. Ma il progetto emiliano nasconde anche uno scopo professionalizzante. Nel laboratorio informatico, infatti, verranno impiegati gli iscritti al corso di Tecnico Trashware, che permetterà ai partecipanti di ottenere la qualifica di tecnico hardware.
Nel suo complesso, Anch’io PC permette non solo di proteggere e rispettare l’ambiente (tonnellate di rifiuti informatici in meno e centinaia di computer in più), ma anche di dare l’opportunità a decine di persone di apprendere un mestiere, quello del tecnico hardware, altamente specializzato e sempre più richiesto sul mercato del lavoro.
Un progetto analogo è stato avviato dal comune di Bari. Brand:Gnu ha lo scopo di valorizzare, rigenerandolo, il patrimonio informatico della municipalità pugliese. I computer che ogni anno vengono dismessi sono analizzati, se necessario riparati e poi distribuiti gratuitamente alle associazioni e agli enti che ne fanno richiesta. Come accade per Anch’io PC, gli scopi principali di questo progetto sono la diminuzione di rifiuti informatici in circolo, attraverso la pratica del riciclo dei computer, la diffusione del software libero (sui computer verrà installata la distribuzione Lubuntu) e l’alfabetizzazione informatica. Ad oggi, sono stati ritirati oltre 100 PC, da cui sono stati ricavati 50 computer ricondizionati. Ultima nota sul nome scelto per il progetto. Da un lato, può essere inteso come nuovo di zecca (brand new in inglese, ma la pronuncia è molto simile a quella di brand gnu), ma anche come marchio GNU (Gnu is not Unix), ovvero il sistema operativo che assieme a Linux domina il panorama dell’open source mondiale.
Perché progetti del genere stanno prendendo sempre più piede? Rispetto a venti anni fa, acquistare un computer è molto più conveniente. L’evoluzione tecnologica e produttiva a cui abbiamo assistito ha permesso, infatti, di decimare i prezzi di produzione con notevoli vantaggi per i consumatori. Ma questo abbassamento dei prezzi ha prodotto un effetto collaterale: i PC vengono cambiati più spesso e, ancora funzionanti, vengono accantonati in cantina o soffitta per far spazio al nuovo arrivato. Nasce così il problema dello smaltimento dei computer, che dovrebbero essere trattati come rifiuti speciali (tecnicamente definiti RAEE, rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche) e che, invece, il più delle volte finiscono a marcire in qualche discarica dei Paesi poveri. Negli ultimi anni, fortunatamente, si è diffusa la pratica virtuosa del riciclo dei PC: invece di essere gettati nella spazzatura, i computer usati vengono riparati e rigenerati per poi essere rimessi in commercio o donati a enti e associazioni benefiche. Come le esperienze di Bari e dell’Emilia Romagna dimostrano.