Immagazzinano informazioni; sono in grado di trasportarle e condividerle a grandissima velocità; il loro comportamento segue una rigida serie di regole e prescrizioni (simile agli algoritmi). Non è un caso, dunque, che diversi centri di ricerca in tutto il mondo stiano cercando di trasformare le cellule in piccoli computer biologici. Il tutto con una capacità in più: attuare calcoli anche complessi. Ogni cellula, infatti, contiene elementi sufficientemente articolati da poter essere utilizzati nei calcoli logici che caratterizzano l'informatica moderna e, date le loro dimensioni, hanno il vantaggio di poter essere "impacchettate" a milioni in uno spazio esiguo.
Dal Massachusetts Institute of Technology (MIT) arrivano importanti novità su questo settore di studi. Gli scienziati statunitensi hanno infatti realizzato delle "macchine cellulari" in grado di compiere delle operazioni computazionali basilari e di conservare (e richiamare all'occorrenza) le informazioni elaborate al proprio interno. Dei piccoli e rudimentali dispositivi informatici che potrebbero rappresentare il primo passo verso computer biologici e rivoluzionare così la biologia cellulare come l'abbiamo conosciuta sino a oggi.
Il precedente della Macchina di Moore
Già nel 2013 lo stesso team di ricercatori era stato in grado di realizzare una Macchina di Moore biologica. Ovvero un sistema informatico basilare (ma non per questo semplice) che, partendo da una serie finita di input, produce risultati derivanti esclusivamente dai soli stati correnti (e non anche dagli stati iniziali). Tradotto in parole più semplici, una Macchina di Moore è in grado di elaborare dati in maniera sequenziale partendo da una determinata lista di input, senza che il risultato sia influenzato dalla situazione di partenza. I risultati prodotti nel corso dell'iterazione saranno quindi frutto esclusivo della variabile (o stato) che interviene in un determinato momento e non dalle variabili precedenti. Se l'input x ha fatto sì che i dati A diventassero B, nella successiva iterazione la trasformazione in C sarà determinata da una nuova variabile y senza che x possa influire sul risultato finale.
Elevando il livello di sofisticazione di questo sistema, si arriva ai moderni sistemi di elaborazione del linguaggio umano che consentono ai motori di ricerca – ma non solo – di conoscere le intenzioni comunicative di un utente nel corso della sua ricerca. Scomponendo ai minimi fattori il machine learning, insomma, si arriverebbe a una lunga serie di operazioni compiute da una complessa macchina di Moore.
Attraverso un'adeguata manipolazione del genoma di una cellula, gli scienziati del MIT hanno dimostrato che questa piccolissima particella biologica può essere convertita in una macchina di Moore efficiente ed efficace.
Arrivano le Ricombinasi
Per dimostrare che l'ideazione e la realizzazione di un computer cellulare sia possibile, i ricercatori statunitensi hanno utilizzato una colonia di e-coli e le ricombinasi, degli enzimi capaci di rimodulare (o addirittura eliminare) una sequenza di genoma individuata in precedenza. Ed è grazie all'azione specifica di questi enzimi che nei laboratori del Massachusetts Institute of Technology sono stati in grado di trasformare il nucleo delle cellule di e-coli in dei piccoli elaboratori biologici.
In risposta a ogni singola variabile – come ad esempio un agente chimico che ne stimola l'azione – le ricombinasi hanno alterato parti specifiche del genoma, modificando così le informazioni presenti all'interno della cellula. La prima trasformazione, inoltre, ha fornito lo stato "stabile" sul quale potesse poi agire una seconda ondata di enzimi. Dunque, l'azione di ogni ricombinasi cambia l'ambiente nel quale si troverà ad agire la successiva, modificando pertanto le modalità in cui la seconda ricombinasi e quelle successive potranno interagire con il genoma. Nella pratica, se la prima ricombinasi ha invertito una specifica sequenza del genoma, la seconda potrà apportare soltanto modifiche basate sulla nuova sequenza. Nel caso in cui la sequenza fosse stata cancellata, invece, gli enzimi verrebbero "forzati" ad agire in tutt'altra maniera.
Le risposte a questa catena di stimoli enzimatici sono così conservati all'interno del genoma. Sequenziandolo, gli scienziati saranno in grado di recuperare sia le informazioni iniziali sia le modifiche dovute all'intervento delle varie ricombinasi. Ancora più comodamente, legando l'azione di questi enzimi alla produzione di tre tipologie di proteine colorate in maniera differente (rosso, verde e blu, nell'esperimento), gli studiosi possono seguire in tempo reale l'evolversi dell'elaborazione delle informazioni all'interno del nucleo della cellula.
A cosa servono i computer biologici
Dimostrate le possibilità di realizzare sistemi informatici anche complessi all'interno del nucleo di una cellula viene però da chiedersi quale sia la loro utilità. Alla fin fine, macchine analoghe esistono anche oggi sotto forma di chip in silicio. Il vantaggio principale è dato, senza ombra di dubbio, dall'efficienza energetica. Per quanto siano ben progettati, i supercomputer dedicati al machine learning e all'intelligenza artificiale, infatti, richiedono sempre un quantitativo di energia piuttosto elevato. Al contrario una colonia di e-coli, per quanto ampia e magari più lenta della controparte in silicio nell'eseguire le operazioni, è senza dubbio più energicamente efficiente e quindi più economica e sostenibile. Le cellule, inoltre, possono essere modificate e modellate per sopravvivere anche negli ambienti più inospitali: dai fondali oceanici alle bocche di vulcani attivi, passando per le spesse coltri di ghiaccio che popolano il continente antartico. Ciò vuol dire che un computer biologico potrebbe essere utilizzato anche in condizioni ambientali proibitive per un elaboratore convenzionale come, ad esempio, per analizzare la composizione chimica di un lago con acque acide e valutarne l'evoluzione in un arco temporale prolungato.