La fotonica, scienza che studia le modalità di controllo della propagazione dei singoli impulsi luminosi, i fotoni, potrebbe avere un radioso futuro in ambito informatico. Mentre da un lato continuano le ricerche per realizzare computer ottici con CPU basato su chip fotonico nel minor tempo possibile (le previsioni parlano di 2020), dall'altro alcuni gruppi di ricerca internazionali provano a esplorare nuovi campi di applicazione per la fotonica. In particolare, un team di ricercatori britannici e tedeschi (guidati da Harish Bhaskaran, ingegnere esperto in nanoscienze dell'Università di Oxford, e Wolfram Pernice, ingegnere elettronico presso il Karlsruhe Institute of Technology, Germania) hanno messo a punto un chip fotonico utilizzabile nell'ambito delle memorie di archiviazione dati (gli hard disk, per intendersi).
Questa soluzione permette di ridurre ulteriormente il collo di bottiglia tecnologico esistente tra RAM e processore da una parte e disco rigido dall'altra: le componenti hardware fondamentali di un sistema informatico potrebbero così lavorare alla stessa velocità, con miglioramenti esponenziali nelle prestazioni della macchina informatica. Per molti, si tratta di un'evoluzione rispetto ai dischi SSD, il cui funzionamento è ancora basato sull'elettronica.
Perché l'informatica è interessata alla fotonica
Da diversi anni gli scienziati informatici si interessano di fotonica e non è nemmeno troppo complicato capirne il perché. L'informatica classica si basa sul funzionamento di componenti elettronici: i dati (siano essi elaborati dalla CPU, trasportati tramite il bus, conservati nella memoria RAM, negli hard disk o negli SSD) prendono la forma di elettroni che viaggiano all'interno dei circuiti stampati o lungo microcavi di rame. Pur assicurando ottime prestazioni, i circuiti elettronici hanno alcuni punti deboli: il flusso degli elettroni non è totalmente ordinato e può capitare che gli elettroni collidano distruttivamente, causando errori o rallentamenti nel trasporto delle informazioni (oltre che surriscaldare i dispositivi a causa dell'effetto Joule).
La fotonica permette di risolvere questi problemi in un colpo solo. Il flusso dei fotoni è ordinato e non si creano casi di collisioni in fase di trasporto. Il circuito di un chip fotonico, insomma, non ha resistenza elettrica e i dati possono pertanto viaggiare – almeno in teoria – alla velocità della luce e senza perdite di energia.
Questione di assorbimento
I ricercatori hanno messo a punto un dispositivo di archiviazione dati basato su chip fotonico in grado di trattenere le informazioni anche se non alimentato in maniera continua. Insomma, un hard disk capace di funzionare a velocità superiori rispetto a quelle di un normale disco SSD. Il segreto di questo dispositivo di archiviazione fotonico sta nel GST, una lega di metalli composta da germanio (simbolo chimico Ge), antimonio (simbolo chimico Sb) e tellurio (simbolo chimico Te) già utilizzata per realizzare cd e dvd riscrivibili. Se stimolato da un intenso impulso laser, il GST è in grado di modificare la propria struttura atomica: da reticolo cristallino ordinato diventa un agglomerato amorfo di atomi . In questo modo è possibile scrivere e conservare (e riscrivere, ovviamente) informazioni sui dischi giocando con la struttura atomica delle singole celle di memoria: se la struttura atomica è intatta allora la cella sarà identificata con uno "0", mentre se il laser colpisce la cella e ne altera il reticolo cristallino questa assumerà il valore opposto, un "1". La lettura dei dati è affidata a un secondo laser, di intensità minore, e a un lettore ottico in grado di decifrare se l'impulso luminoso del laser sia stato assorbito dalla cella con struttura cristallina o respinto dalla cella con struttura amorfa.
Il chip fotonico per la memoria
Queste proprietà chimico-fisiche hanno reso possibile realizzare il chip fotonico per la memoria informatica. Il team di ricerca ha montato un chip fotonico su un "normale" chip al nitruro di silicio (conosciuto in gergo tecnico come "guidaonda" o waveguide ) per testare l'immagazzinamento di dati e informazioni.
Per scrivere sul chip fotonico, i ricercatori hanno convogliato un fascio di luce all'interno del "guidaonda" in modo che il campo magnetico che ne deriva sia in grado di modificare la struttura atomica del circuito fotonico. La lettura avviene in maniera analoga a quanto accade nei cd e nei dvd riscrivibili anche se con strumenti differenti: un secondo fascio di luce (meno intenso del precedente) è fatto transitare lungo il chip di silicio e un lettore misura quanta luce è assorbita dalle celle di memoria del chip fotonico. Se la cella assorbe molta luce, vuol dire che la struttura è cristallina; se la cella assorbe meno luce la struttura è amorfa.
Un terzo fascio di luce, di intensità leggermente inferiore rispetto al secondo (quello che si occupa della lettura dei dati), è invece utilizzato per riportare la cella dalla struttura amorfa a una struttura cristallina e quindi, di fatto, per cancellare i dati contenuti al suo interno.
Un chip fotonico basato su GST e montato su un supporto di silicio è in grado di leggere e scrivere molti più dati rispetto a un hard disk o un disco SSD oggi in commercio. Questo perché il "guidaonde" è in grado di contenere più di un'onda fotonica per volta, rendendo possibile la lettura e la scrittura di dati su celle differenti nello stesso istante: un hard disk, magnetico o elettronico che sia, non può garantire questa funzionalità e ha pertanto performance nettamente inferiori.
Inoltre, controllando l'intensità delle onde di luce che passano attraverso il waveguide, è possibile modificare anche solo in parte la struttura molecolare delle varie celle: anziché avere il classico "1" e "0" (rispettivamente 100% cella cristallina, 100% cella amorfa), è possibile modificare la struttura solo per il 90% della cella, per l'80% della cella e così via. Ciò rende possibile di archiviare dati in otto differenti combinazioni per ogni singola cella.