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Che cosa sono i Big Data

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Quando i data set non sono più gestibili attraverso gli usuali strumenti di analisi dei database, allora si parla di Big Data. Ecco cosa sono e quali potrebbero essere i rischi per la privacy

Big Data

Cosa sono i Big Data

Ogni giorno i circa 2 miliardi e mezzo di persone che hanno accesso alla Rete producono la bellezza di 2,5 quintilioni di byte (ovvero 1030 byte, cioè 1 seguito da ben 30 zeri, mentre, per comparazione, un gigabyte è “soltanto” 109 byte) e il 90% di tutti i dati sinora prodotti sono stati creati nell'arco dell'ultimo biennio. I dati vengono immagazzinati attraverso qualsiasi mezzo: dai sensori per la raccolta di informazioni sul clima ai post sui social network, passando per video e immagini digitali, dati GPS raccolti attraverso smartphone e tablet e trascrizione delle transazioni di acquisto.

 

I Big Data sono grandi data set non gestibili con i normali strumenti database

 

I Big Data sono la raccolta, in immensi data set (ovvero insiemi di dati relativi a un tema specifico), di queste informazioni, siano esse eterogenee o meno. Data set di tal genere si sviluppano su tre dimensioni: volume, velocità e varietà. Il volume è dato dalla somma delle grandezze dei vari file che compongono il data set (ogni giorno un'azienda può facilmente accumulare dati nell'ordine del terabyte o anche del petabyte); la velocità è data dalla capacità dei dati di fluire nei centri di elaborazione nel minor tempo possibile, offrendo così la possibilità di effettuare analisi in pochissimo tempo e ottenere dati sempre aggiornati; la varietà è data dalle fonti attraverso le quali si raccolgono i dati (possono essere, ad esempio, dati di testo, dati video, file di log, ecc.). Proprio a causa della loro grandezza, i Big Data sono difficili da trattare con strumenti non espressamente dedicati, come ad esempi quelli utilizzati nei sistemi di gestione dei database relazionali.

I Big data, quindi, possono essere definiti come quei data set che, per la loro grandezza e complessità, debbono essere analizzati utilizzando strumenti “speciali” in tutte le fasi del processo analitico. Per contro, essi permettono di cogliere aspetti e sfumature altrimenti difficilmente rilevabili.

Campi di applicazione

Data la loro natura eterogenea, i Big Data possono essere utilizzati nei settori più vari e non solo nelle analisi economico-finanziarie. In ambito scientifico, ad esempio, sono utilizzati da strutture di ricerca come ad esempio il CERN di Ginevra: l'incredibile quantità di dati prodotta dal Large Handron Collider (LHC, l'acceleratore di particelle più grande al mondo) viene raccolta in grandissimi data set e poi analizzata. I Big Data trovano applicazione anche in ambito astronomico: le decine di osservatori astronomici sparsi ai quattro angoli della Terra raccolgono giornalmente miliardi e miliardi di byte di dati di osservazione che vanno processati e catalogati. Anche le organizzazioni governative fanno uso sempre più estensivo di queste tipologie di dati: nel 2012 il Governo Obama decise di investire circa 1 miliardo di dollari nello sviluppo di tecniche di analisi dei Big Data sempre più precise e approfondite.

Perché Big Data

L'analisi complessiva di una mole spropositata di informazioni permette di cogliere relazioni altrimenti non rilevabili. Da qui la capacità e la possibilità di accedere a informazioni molto particolari e per questo pregiate: si può arrivare, ad esempio, a individuare gli “umori” del mercato, oppure comprendere e sfruttare a proprio vantaggio (commerciale, strategico, ecc.) i flussi di dati e informazioni che ogni giorno viaggiano sulla Rete.

Questione di privacy

 

Big data

 

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Negli ultimi anni, però, sono state avanzate critiche nei confronti del paradigma del Big Data, soprattutto per le implicazioni che lo legano al mondo della privacy e della protezione dei dati personali. “Un problema cruciale – affermano in un loro lavoro di critica tre studiosi del settore come Snijder, Matzat e Reips – è che si sa ancora poco dei microprocessi empirici che portano alla formazione delle caratteristiche tipiche delle reti dei Big Data”. E proprio questa scarsa conoscenza ha forti ripercussioni a livello di privacy.

La protezione dei dati personali, fanno notare alcuni esperti di privacy, viene ripetutamente messa a rischio dal continuo accumulo di informazioni – anche strettamente personali – legata alla formazione dei Big Data. Qualche malintenzionato, se dotato degli adeguati strumenti di analisi, potrebbe anche sfruttare queste informazioni per ricostruire i profili personali degli ignari internauti. Per questi motivi si sta lavorando su dei protocolli di intesa, rivolti naturalmente ai grandi player del settore come Google, Amazon e Yahoo, per offrire agli utenti una sorta di “cortina fumogena” che metta gli utenti finali al riparo da questi pericoli.

Una delle soluzioni proposte è, così come accade da qualche mese a questa parte con i cookie traccianti, quella del consenso informato. Prima che i dati possano finire nel calderone dei Big Data, gli internauti dovrebbero dare il loro benestare, sottoscrivendo un accordo per il trattamento dei dati personali. Una procedura, insomma, simile a quella che si segue ogniqualvolta ci si iscrive ad un servizio web – come la posta elettronica o un social network, ad esempio – e che, come accade in questi casi, dovrebbe offrire una via d'uscita per gli utenti finali. Dovrebbe essere prevista, insomma, una clausola opt-out che permetta di revocare il consenso in qualsiasi momento.

A cura di Cultur-e
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