Le batterie agli ioni di litio sono già oggi, e lo saranno ancor più in futuro, le componenti più importanti per determinare le prestazioni e il prezzo sia dei dispositivi elettronici che delle auto elettriche. Più energia si può immagazzinare in una batteria, al costo più basso possibile, più i device e le auto potranno esprimere le proprie potenzialità per un tempo più lungo senza costare un occhio della testa.
Gli investimenti in sviluppo e ricerca sulle batterie, per questo, a livello globale sono letteralmente esplosi negli ultimi dieci anni. Ma la produzione di accumulatori, per l'elettronica e per i veicoli elettrici, ancora oggi si basa su processi costosi, che richiedono molta energia e che sono impossibili senza l'uso dei pericolosi agenti chimici necessari a fissare sugli anodi e catodi delle batterie (rispettivamente il polo negativo e quello positivo) i materiali rari che li compongono. Come litio, cobalto, lantanio, nichel, manganese, titanio.
Ma quest'ultimo problema potrebbe essere risolto da una avveniristica ricerca portata avanti da Angela Belcher, professoressa di bioingegneria al Massachusetts Institute of Technology di Cambridge (USA), che è riuscita a usare i virus per costruire anodo e catodo delle batterie. Ecco come.
Operai zombie
I virus, biologicamente, sono come degli zombie: non sono né vivi né morti. Un virus contiene un frammento di DNA, cioè del codice genetico che secondo gli scienziati segna la linea di confine tra gli esseri viventi e il mondo inanimato. Ma un virus non è in grado di replicarsi (e quindi di diffondere il suo DNA) senza "attaccare" una cellula vivente. Il meccanismo di riproduzione dei virus è infatti noto: si aggrappano alla parete di una cellula, riescono (ogni virus in un modo diverso dall'altro) a penetrarla e, una volta dentro, usano la cellula stessa per replicare il proprio DNA. La cellula, compromessa, diventa una "fabbrica di virus" che poi iniziano a circolare nell'organismo attaccato e continuano a riprodursi seguendo questo schema.
L'idea della Belcher è che sia possibile usare questa capacità dei virus di "attaccare" e "attaccarsi" a qualcosa per estrarre gli elementi chimici necessari a costruire anodo e catodo. In questo modo sarebbe possibile creare una struttura composta da virus e litio, cobalto o uno degli altri elementi chimici necessari e impacchettare tale struttura al fine di creare, appunto, i due elettrodi di una batteria. I virus, insomma, farebbero il "lavoro sporco" al posto dei costosi e inquinanti processi industriali tradizionali.
Il team della Belcher è riuscito a modificare geneticamente un determinato tipo di virus, il Fago M13 che normalmente attacca dei batteri, affinché si fissi a determinati materiali. Questi virus svolgono il loro compito abbastanza efficacemente, creando delle strutture che sono utilizzabili all'interno delle batterie in sostituzione di quelle normalmente realizzate con i già descritti processi industriali. Tutto ciò avviene a temperatura ambiente e con il solo uso di acqua come terreno di coltura dei virus, senza dover impiegare grandi quantità di energia né pericolosi prodotti chimici.
Quando arriveranno le batterie basate sui virus
Il procedimento messo a punto dalla Belcher abbina sequenze di DNA con elementi della tavola periodica per creare una forma accelerata di "selezione naturale". Così è possibile causare l'adesione di un virus solo al fosfato di ferro, ma se il codice genetico viene modificato, il virus potrebbe aderire solo all'ossido di cobalto e la tecnica potrebbe essere estesa a qualsiasi elemento chimico o molecola: si tratta solo di trovare la sequenza di DNA giusta.
Angela Belcher ha mostrato un primo prototipo di queste batterie già nel lontano 2009, addirittura all'allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama, che ha inserito il team della professoressa tra i beneficiari di un fondo da 2 miliardi di dollari per stimolare la ricerca su nuove tecnologie per le batterie. Oggi la Belcher è in grado di creare oltre 150 virus diversi, ognuno in grado di fissarsi ad un diverso elemento chimico, ma la tecnologia non è ancora pronta per essere utilizzata su vasta scala fuori da un laboratorio. Il problema principale è che i virus sono dei buoni operai, ma non sono molto ordinati: creano delle strutture sempre diverse, difficili da gestire in una produzione di massa. "Il mio laboratorio è focalizzato sul provare ad ottenere la tecnologia più pulita e ordinata possibile" spiega la Belcher, che poi aggiunge: "Non stiamo cercando di competere con la tecnologia attuale. Stiamo invece cercando di rispondere alla domanda: la biologia può essere utilizzata per risolvere alcuni problemi che non sono stati risolti finora?".