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Attori morti, giusto rimpiazzarli con ologrammi creati al PC?

Lo sviluppo di complesse tecniche di riproduzione digitale permette di riportare in vita (quanto meno nei film) attori morti da tempo. È giusto?

Richard Nixon riprodotto nel film Forrest Gump

L'ultimo dilemma, se così si può definire, si è registrato a cavallo tra 2016 e 2017, quando la morte improvvisa dell'attrice Carrie Fisher, l'indementicabile Principessa Leila della saga di Star Wars, ha un po' scombussolato i piani dei produttori di Hollywood. Qualcuno, infatti, ha iniziato a chiedersi se fosse il caso di creare una versione digitale dell'attrice – un ologramma, insomma – da inserire nei prossimi episodi di Star Wars già in programma.

Una questione tutt'altro che secondaria, nell'iper-tecnologico mondo del cinema statunitense: i progressi fatti registrare a livello di proiezioni tridimensionali, infatti, hanno permesso a produttori e sceneggiatori di riportare in vita personaggi morti ormai da anni. La stessa Principessa Leila, tanto per fare un esempio, fa un cameo nel finale di Rogue One: A Star Wars Story sotto forma, però di ologramma 3D. Sempre in Rogue One l'attore Peter Cushing è stato fatto "risorgere" (è morto nel 1994) per tornare a vestire i panni di Tarkin.

Una scelta che ha scatenato non poche reazioni, tutt'altro che positive. È tornata così in auge quella che potrebbe essere definita la "questione etica" degli ologrammi tridimensionali. Molti, infatti, si chiedono se sia giusto utilizzare l'immagine (e la fama) di persone morte da tempo per scopi prettamente commerciali o promozionali. Il protagonista, infatti, difficilmente potrà opporsi e tutto viene affidato alla volontà degli eredi. Una questione ancora più pregnante oggi, dal momento che le tecnologie per creare ologrammi tridimensionali e riproduzioni digitali di persone in carne e ossa stanno diventando sempre meno costose e sempre più accessibili.

Il caso John Wayne e Audrey Hepburn

 

 

Una storia, comunque, tutt'altro che nuova. Questioni analoghe, infatti, erano sorte negli Anni '90 quando il compianto John Wayne – o, per meglio dire, la sua immagine – era diventato protagonista di una serie di spot televisivi per la televisione statunitense. A concedere lo sfruttamento dei diritti d'immagine era stata la famiglia dell'attore western, con non poco disappunto dei fan più incalliti. Sorte analoga per Audrey Hepburn, diventata (suo malgrado) protagonista di una pubblicità di una barretta di cioccolato. Come nel caso precedente, sono stati gli eredi dell'attrice a concedere il diritto di sfruttamento agli autori dello spot, ma non sono rari i casi in cui si procede senza alcuna autorizzazione.

I personaggi storici che compaiono nel film Forrest Gump, tanto per fare un esempio, sono stati "resuscitati" partendo da vecchi filmati analogici adeguatamente trattati e ristrutturati. In questo caso, la produzione guidata dal regista Robert Zemeckis non chiese alcuna autorizzazione, ma acquistò semplicemente i diritti di utilizzo del materiale d'archivio.

Film senza attori

Una tendenza che, complici gli avanzamenti tecnologici fatti registrare negli ultimi anni, potrebbe addirittura spingere alcuni produttori e registi a una decisione estrema: realizzare un film che non preveda la presenza di attori in carne e ossa. Non si parla, ovviamente, di un cartone animato, ma di un film d'azione o di avventura i cui protagonisti non sono altro che ologrammi tridimensionali riprodotti grazie a complesse tecniche di grafica computerizzata.

A cura di Cultur-e
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