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Architettura delle CPU dopo la Legge di Moore: cosa aspettarsi

Mentre la Legge di Moore perde sempre più rilevanza, gli scienziati provano a individuare quali saranno le strade da seguire. La specializzazione batterà la "forza bruta"?

Scheda madre con vari chip

Da una parte troviamo la fazione di chi, come David Patterson, professore della University of California – Berkeley, crede che stiamo andando verso un Rinascimento dell'architettura dei computer, periodo eccitante caratterizzato da una molteplicità di nuove scoperte. Dall'altra parte, invece, ci sono scienziati che restano maggiormente con i piedi per terra e, pur riconoscendo il declino della Legge di Moore, insistono nel dire che il futuro che ci attende (almeno a breve termine) non è così differente dal presente che viviamo.

Tutti, da una parte e dall'altra, devono fare i conti con l'effetto Joule e la dissipazione del calore. Il più grande ostacolo che si frappone tra i produttori di chip e circuiti integrati e la possibilità di continuare a rispettare la Legge di Moore sta proprio nelle difficoltà che si incontrano nel dissipare il calore generato dalla corrente che passa attraverso i transistor. Il limite fisico, già raggiunto, è quello dei 150 Watt per centimetro quadrato e altre strategie per la dissipazione sembrano essere poco praticabili (soprattutto per una questione di costi).

 

CPU

Ciò ha costretto i produttori ad abbandonare la strada della potenza pura (ossia, aumento senza freni della frequenza operativa delle CPU) e intraprendere quella del multicore. Anche su questo fronte, però, si sta andando verso l'ennesimo collo di bottiglia tecnologico: architetture con più di otto core sono poco efficienti e garantiscono ben pochi vantaggi rispetto ai costi produttivi e sono quindi impraticabili (o quasi). La nuova frontiera, in parte già esplorata (si pensi alle differenze tra CPU e GPU), sembra essere quella della specializzazione.

L'architettura big.LITTLE e i coprocessori degli smartphone

Come mostrato già da alcuni produttori di smartphone e dispositivi mobili, la strada da percorrere per ovviare al declino della Legge di Moore sembra essere quella delle CPU specializzate. Già da diversi anni, ad esempio, Apple ha iniziato a introdurre all'interno degli iPhone dei processori complementari (detti coprocessori) dedicati a compiti specifici. C'è il coprocessore M che si occupa di gestire i sensori e analizzare i flussi di dati in ingresso; mentre il chip W1 gestisce più efficientemente il Bluetooth e il flusso di dati audio una volta che si connette il melafonino con gli auricolari AirPods.

 

Scheda logica di uno smartphone con SoC e altri chip

La strada della specializzazione è stata intrapresa anche da ARM, di fatto il più grande produttore di SoC e CPU per smartphone e altri dispositivi mobili. Il produttore britannico ha introdotto l'architettura big.LITTLE, grazie alla quale riesce a massimizzare le prestazioni dello smartphone tenendo sempre sotto controllo i consumi energetici. All'interno di questa architettura, le unità di calcolo sono divise tra quelle dedicate all'esecuzione delle applicazioni attualmente in uso (che assicurano prestazioni elevate) e quelle dedicate all'esecuzione delle app in background (che massimizzano l'efficienza energetica). A queste unità "centrali" si affiancano quelle periferiche, dedicate alla gestione di specifiche funzionalità dei dispositivi (gestione dell'alimentazione, sensori, comparto audio-video, connettività e così via).

Problema software

L'eccessiva specializzazione delle CPU potrebbe portare con sé anche degli effetti indesiderati. Da una prospettiva di chi sviluppa software, infatti, la proliferazione di nuovi processori è quanto di peggio ci si potesse aspettare. Ogni nuovo chip e ogni nuova architettura necessitano dei propri strumenti di programmazione e dei propri compilatori, così che le istruzioni possano essere eseguite correttamente. Ciò potrebbe portare a una frammentazione delle soluzioni software mai vista nel campo della programmazione, costringendo gli sviluppatori a specializzarsi ancora di più di quanto non lo siano già ora. Le possibili soluzioni, in questo caso, sono due: la realizzazione di framework di programmazione specializzati e l'esecuzione diretta del linguaggio.

 

Chip

La prima prospettiva permetterebbe di realizzare software e app che siano indipendenti dalla piattaforma hardware che li dovrà eseguire lasciando la patata bollente tra le mani dei produttori di CPU. Saranno loro, infatti, a dover decidere come e quale framework supportare affinché i programmi possano girare sui loro chip e coprocessori. La seconda, invece, prevede che i processori eseguano direttamente le istruzioni fornite loro attraverso un linguaggio di alto livello (come Java, ad esempio) senza dover passare attraverso "intermediari" come i compilatori. Pur garantendo una maggiore efficienza e, probabilmente, un'esecuzione più veloce delle istruzioni e quindi del software, questa strada non ha trovato al momento molti estimatori.

La via quantistica

Se si fa un passo indietro e si torna sul sentiero della potenza pura, la strada più promettente è quella dell'informatica quantistica. Da qualche anno a questa parte, il numero di aziende e produttori che investono – anche ingentemente – in questo settore è in rapida crescita: slegandosi dai limiti mostrati dalle architetture CPU "classiche" e poggiando sulle fondamenta della fisica quantistica, i chip quantistici sono in grado di garantire prestazioni migliaia di volte superiori a quelle dei chip al silicio odierni.

Si tratta, però, di un percorso molto lungo e siamo ancora alle primissime battute. D-Wave, società britannica controllata da Google specializzata nella creazione di sistemi quantistici, è certa che nell'arco di un quinquennio la gran parte dei supercomputer e dei datacenter farà affidamento su computer basati sul qubit, ma è ancora troppo presto per prevedere come e quando i chip quantistici potranno arrivare sul mercato "generalista".

A cura di Cultur-e
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