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Come e perché l’intelligenza organoide può rivoluzionare l’intelligenza artificiale

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La organoid intelligence promette di sfruttare a pieno le capacità di calcolo e archiviazione dati del cervello, ripensando le sue interazioni con le macchine

organoide AI Shutterstock

La organoide intelligence (in italiano intelligenza organoide) è una nuova frontiera della scienza che potrebbe rivoluzionare la naturale separazione tra essere umano e macchina

Le tecnologie OI partono infatti dalla coltura dei cosiddetti organoidi cellulari, colture 3D di cellule cerebrali umane, per sviluppare interfacce e sistemi di apprendimento nuovi. 

L’obiettivo di fondo resta lo stesso dell’intelligenza artificiale, ovvero emulare le capacità di apprendimento e generazione di soluzioni del cervello dell’essere umano. 

Ma le metodologie sono molto diverse, considerato che tirano in ballo tanto l’informatica quanto la biologia. Allo stesso modo le problematiche di natura morale sono sensibilmente superiori rispetto a quelle della tradizionale etica in informatica. 

Cosa si intende per intelligenza organoide e cosa cambia rispetto all’intelligenza artificiale

Intelligenza artificiale

Shutterstock

La organoid intelligence (OI) o intelligenza organoide, è un particolare campo di studio che fonde competenze afferenti all’informatica e alla biologia e che persegue l’obiettivo di realizzare il cosiddetto hardware biologico.

In questo momento storico la orgaoid intelligence si impegna principalmente nella coltura 3D di cellule cerebrali umane, anche note come organoidi cerebrali, con l’obiettivo di implementarle ad altre tecnologie che garantiscano l’interfaccia tra cervello e macchina

Secondo i fautori dell’intelligenza organoide, proprio questi organoidi cerebrali garantirebbero una potenza notevolmente superiore a quella dei sistemi di intelligenza artificiale basati su silicio. 

Da una parte i computer basati su silicio garantiscono (ad oggi) performance migliori quando si tratta di calcolo puro. Dall’altra diversi esperti del settore considerano le colture di cellule cerebrali migliori dal punto di vista dell’apprendimento: un elemento chiave quando si parla di AI e AI generativa. 

L’intelligenza organoide parte dalla coltura 3D di cellule cerebrali umane per utilizzarle in nuove tecnologie di interfaccia uomo-macchina. 

Per avere un’idea più precisa del paragone tra la potenza dei chip e quella del cervello è possibile chiamare in causa un esperimento del 2013 che vide coinvolto quello che all’epoca era il quarto computer più potente del mondo. Ebbene il dispositivo impiegò quasi un’ora di lavoro per modellare 1 secondo dell’1% delle attività cerebrali di un essere umano.

Un altro elemento di forza della organoid intelligence va cercato nella struttura intrinseca del cervello umano e nella sua capacità di archiviare grandi quantità di informazioni

Le stime in questo senso sono sempre complesse, ma gli 86-100 miliardi di neuroni e le oltre 1000 connessioni del cervello umano fanno pensare a una capacità di archiviazione di circa 2.500 TB: una quantità di memoria neanche lontanamente paragonabile a quella del super computer più performante.

Le teorie dell’intelligenza organoide spiegano inoltre come, in un futuro non troppo lontano, potrebbe essere difficile se non addirittura impossibile migliorare la capacità di archiviazione dei chip attraverso l’aggiunta di transistor. 

Infine l’intelligenza organoide prevede una particolare tipologia di addestramento nota come apprendimento biologico (biological learning, o BL): una pratica radicalmente diversa rispetto al machine learning tipico dell’intelligenza artificiale, che sembra garantire maggiore efficienza dal punto di vista del consumo di energia

Come funziona la organoid intelligence

Intelligenza artificiale

Shutterstock

Dal punto di vista funzionale, l’intelligenza organoide persegue un obiettivo non troppo diverso da quello dell’intelligenza artificiale tradizionale: emulare il funzionamento del cervello dell’essere umano. 

La differenza sostanziale sta nella materia utilizzata per provare a ricreare i processi di apprendimento, partendo dal presupposto che gli attuali chip in silicio stanno manifestando alcuni limiti apparentemente invalicabili, proprio per la loro natura di componenti basate su principi elettronici digitali. 

Per entrare maggiormente nel merito del funzionamento della organoid intelligence bisogna chiamare in causa anche la bioinformatica: la sopracitata unione di informatica e biologia, che fornisce strumenti e tecniche fondamentali. Se il “problema” dell’intelligenza organoide è che genera dati complessi, la bioinformatica prova a fornire le soluzioni utili a decifrarli.

Recenti esperimenti stanno testando la capacità dell’organoide cerebrale di ricevere e inviare informazioni attraverso una matrice multielettrodica ad alta densità, attraverso l’applicazione di stimolazione elettrica spaziotemporale e applicando una tipologia di apprendimento non supervisionato dai dati. 

Questo è soltanto uno degli esempi che aiutano a capire quanto la organoide intelligence richieda lo sviluppo di modelli, tecnologie e algoritmi inediti. Allo stesso tempo esistono già delle interfacce Python pensate per l’interazione con gli organoidi cerebrali.

Qual è il problema etico della organoid intelligence

Intelligenza artificiale

Shutterstock

La crescita esponenziale dell’intelligenza artificiale e poi dell’intelligenza artificiale generativa ha profondamente cambiato il concetto di etica in informatica, ma con la organoid intelligence la questione morale diventa ancora più complessa. 

Innanzitutto non è scontato distinguere tra un’entità orientata a una funzione e un essere senziente, considerato che il processo di maturazione applicato all’organoide cerebrale gli attribuisce alcune caratteristiche tipiche di un feto dopo circa 20 settimane di gestazione

A ciò si aggiunge il tema delle capacità che l’organoide cerebrale potrebbe sviluppare. Il timore più grande in questo senso è che si arrivi alla capacità di esibire una coscienza, di provare emozioni come il dolore e forse addirittura di sentire la sofferenza “fisica”

La comunità scientifica concorda nella necessità di dover innanzitutto individuare dei criteri condivisi per valutare se e quanto gli organoidi cerebrali arriveranno alla condizione di coscienza. 

In questo senso una prima sfida per l’intelligenza organoide potrebbe essere trovare un punto di equilibrio tra il concetto di sensibilità, intesa come consapevolezza di uno stimolo sensoriale e il concetto di sensibilità così come viene inteso nel linguaggio comune, con tutte le sue implicazioni emozionali

Per saperne di più: Intelligenza Artificiale: cos'è e cosa può fare per noi

A cura di Cultur-e
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