Settembre 2018 doveva essere e settembre 2018 è stato. Lo scorso 12 settembre il Parlamento Europeo di Strasburgo ha approvato, con 438 voti a favore, 226 contrari e 39 astensioni, la controversa direttiva europea sul copyright, mettendo fine a una querelle che si trascinava dal luglio 2018, quando la discussione in sede parlamentare era stata rinviata a seguito delle forti proteste nate sia in Rete (clamorosa la decisione di Wikipedia, ad esempio, di impedire l'accesso al portale per alcuni giorni) sia tra l'opinione pubblica.
Nei due mesi trascorsi tra il rinvio di luglio e l'approvazione di settembre non si è comunque rimasti fermi a guardare. Le parti in gioco, infatti, hanno tentato di avvicinarsi e trovare un accordo che riuscisse a mettere d'accordo tutti e, alla fine, il compromesso è stato trovato. Certo, dire che il testo approvato dal Parlamento Europeo accontenti tutti è eccessivo - molti, infatti, ritengono insufficienti le modifiche apportate agli articoli 11 e 13 della direttiva - ma rappresenta comunque un quadro comune che permetterà di armonizzare le varie leggi nazionali sul copyright che dovranno essere discusse nei prossimi mesi.
Direttiva europea sul copyright, cos'è e a cosa serve
Pensata per sostituire la vecchia legge sul diritto d'autore, datata 2001 e di fatto non più attuale, la direttiva europea sul copyright si pone l'obiettivo di favorire ulteriormente la creazione un mercato unico digitale tra i Paesi membri dell'Unione Europea, armonizzandone le leggi sul copyright e fornendo basi più chiare e dettagliate sulle quali, poi, gli stati membri possono elaborare singolarmente i loro regolamenti nazionali. Frutto di un lungo iter e di una lunga contrattazione, per molti versi la direttiva europea sul diritto d'autore ha perso il suo spirito originario: in alcuni casi, anziché fare chiarezza, finisce con l'accrescere la confusione. Alcuni articoli, infatti, sono scritti in maniera vaga, favorendo la libera interpretazione da parte dei singoli o degli stati e complicando non poco il processo di armonizzazione originario.
Cosa prevede la direttiva europea sul copyright
Degli articoli che formano la nuova legge europea sul diritto d'autore, due hanno finito con il catalizzare attenzioni e critiche da parte della comunità internazionale (non necessariamente europea, visti gli interessi globali sull'argomento). Nello specifico, si tratta dell'articolo 11 (ribattezzato link tax) e dell'articolo 13 (noto con il nomignolo di upload filter) ed entrambi, come vedremo tra poco, vanno a toccare temi riguardanti il copyright online.
L'articolo 11 prevede che la pubblicazione di contenuti editoriali protetti da diritto d'autore su portali differenti da quelli del creatore dei contenuti stessi (anche in forma sintetica e riassunta) sia vincolata a un accordo tra le parti, in modo che il suo creatore riceva una consona ed equa remunerazione per il suo lavoro. Come specificato nella modifica del giugno 2018, l'articolo 11 si riferisce in maniera particolare alla pubblicazione di articoli giornalistici, d'inchiesta e di approfondimento da parte di piattaforme social, aggregatori di notizie e motori di ricerca, escludendo così la ricondivisione di link da parte di utenti privati fatta senza scopo di lucro. Il testo approvato a settembre 2018 è stato ulteriormente modificato, così da accogliere alcune proposte fatte dal mondo dell'open source e della condivisione libera.
L'articolo 13 prevede che le piattaforme web – social network, motori di ricerca, piattaforme di condivisione di vario genere – applichino controlli più stringenti per evitare che i loro utenti pubblichino materiale coperto da copyright. Si tratta del cosiddetto articolo upload filter, che secondo molti potrebbe porre fine al fenomeno dei meme e non solo. Stando al dettato dell'articolo, infatti, le piattaforme sono direttamente responsabili della violazione del diritto d'autore nel caso in cui un loro utente pubblichi un testo, una foto, un video o una traccia musicale coperta da diritto d'autore. I vari social network, dunque, dovrebbero analizzare a priori il contenuto che si sta per pubblicare e, nel caso non si detengano i diritti per farlo, bloccarlo e cancellarlo. L'esempio fatto dai legislatori comunitari è quello di YouTube e della sua tecnologia Content ID, che riconosce in maniera automatica contenuti che violano il diritto d'autore. Nella versione definitiva, l'articolo 13 esclude da questo obbligo tutte le enciclopedie libere presenti in Rete (vedi Wikipedia), i portali di condivisione di software libero (come GitHub) e ricerche scientifiche condivise dallo stesso autore.
Direttiva europea sul copyright, perché tanto clamore
A voler scherzare, si potrebbe dire che la direttiva europea sul copyright, benché sia stata bocciata dal voto del Parlamento Europeo, abbia avuto il grande pregio di unire sotto la stessa "insegna" sia i big della Silicon Valley (Google, Facebook, Amazon) sia le associazioni per la libertà del web (come la Electronic Frontier Foundation, che solitamente non vedono proprio di buon occhio le grandi corporation californiane) e guru del web come Vint Cerf e Tim Berners Lee.
Scherzi a parte, la direttiva europea sul copyright ha avuto sicuramente il merito di riaccendere la discussione sul tema del diritto d'autore online, ma scatenando un clamore forse superiore a tutte le attese. La discussione si è dunque polarizzata tra chi è favorevole alla riforma legislativa europea (soprattutto i rappresentanti del "vecchio" mondo dei media, editori e produttori musicali in testa) e chi è contrario (fronte composto, come detto, dalle aziende web e dagli attivisti per il web libero). I primi sostengono che la direzione intrapresa sia quella giusta, dal momento che riconosce un equo compenso per chi detiene il diritto d'autore (se di un contenuto testuale o di un'opera multimediale poco importa); i secondi, invece, denunciano il rischio di un web meno libero e più contingentato.
16 settembre 2018