Il tracciamento dei nostri movimenti online e delle nostre abitudini non è certo un fenomeno nato negli ultimi anni. Da quando le aziende hanno scoperto che Internet poteva essere un luogo proficuo vendendo pubblicità mirata e prodotti agli utenti, hanno iniziato a raccogliere dati sulle abitudini di navigazione e di consumo delle persone. Google grazie ai miliardi di informazioni che raccoglie sugli utenti attraverso i suoi servizi riesce a mostrare annunci pubblicitari mirati e grazie a questo tipo di attività ogni anno produce ricavi per diversi miliardi di dollari. Ma Google è solo un esempio. Ci sono tantissime altre aziende che lo fanno. Facebook sa moltissime informazioni su di noi e grazie ai dati che raccoglie attraverso aziende terze e sfruttando la geolocalizzazione mostra pubblicità che cambiano a seconda del luogo dove siamo. Anche i siti di e-commerce tracciano i nostri movimenti per inviarci delle e-mail con offerte pensate appositamente sulle nostre abitudini.
Come avrete capito, riuscire a mettere al sicuro le proprie informazioni personali mentre si naviga in rete è molto complicato. Il concetto di privacy è piuttosto labile e per una persona che vuole bloccare il tracciamento della propria attività l'unica soluzione è spegnere il PC o lo smartphone. Con l'arrivo sul mercato degli smartphone, la situazione è notevolmente peggiorata. Tutto quello che facciamo con le applicazioni, non ha fatto altro che fornire ulteriori dati e informazioni alle grandi aziende dell'hi-tech. Ogni singolo movimento viene registrato e messo in correlazione con le nostre abitudini d'acquisto. In questo modo il profilo che ogni azienda costruisce su di noi si va ad arricchire di nuove informazioni e diventa sempre simile alla persona reale. Basta pensare che Facebook ci suddivide in 52.000 categorie differenti: a seconda a quale apparteniamo ci mostra un certo tipo di pubblicità.
Come gli smartphone tracciano la nostra vita
Quelli che reputiamo essere i nostri migliori amici, in realtà possono trasformarsi in un pericolo per la nostra privacy. Soprattutto se non sappiamo utilizzarli. Stiamo parlando degli smartphone, i dispositivi che usiamo in ogni frangente della nostra vita. Ma non è tutto oro quello che luccica. Per avere sempre a disposizione applicazioni e servizi che ci migliorano la vita, dobbiamo vendere una piccola parte di noi: le nostre informazioni personali. Gli smartphone collezionano una grandissima quantità di dati: la nostra posizione, la cronologia del browser, il registro delle chiamate, le credenziali d'accesso al conto corrente online e i dati biometrici dell'impronta digitale e del riconoscimento del volto. Inoltre, raccolgono anche i metadati, come l'orario e la data di ricezione dei messaggi e delle e-mail. È stato dimostrato che utilizzando semplicemente i metadati del nostro indirizzo di posta elettronica è possibile creare un report dettagliato sulla nostra vita: chi sono i nostri amici, chi sono i nostri colleghi, la nostra situazione finanziaria e anche quando stiamo male. Insomma, basta analizzare informazioni di tipo differente per riuscire a trovare una qualche forma di correlazione.
Lo smartphone ci sorveglia
Non vogliamo creare allarmismo, ma in alcuni casi gli smartphone sono dei veri e propri dispositivi di sorveglianza. Sanno esattamente cosa abbiamo fatto e dove siamo andati. E in molti casi questo tipo di dati non vengono raccolti dalle grandi aziende dell'hi-tech, ma da imprese specializzate esclusivamente in questo campo. Che tracciano le abitudini degli utenti, collezionano i dati e li rivendono al miglior offerente. Un mercato che ogni anno cresce sempre di più e genera profitti per milioni di dollari. Tutti questi dati servono per creare un profilo sempre più dettagliato della persona in modo da mostrargli degli annunci pubblicitari "targettizzati" e servizi su misura.
Il vero pericolo del tracciamento delle nostre abitudini
Oltre a mettere in serio pericolo la privacy, il vero problema della pubblicità tracciante riguarda l'influenza che ha sulle abitudini d'acquisto delle persone. Grazie ai dati raccolti, è possibile che agli utenti che sono in difficoltà economiche vengano mostrate pubblicità sui prestiti bancari. Non sapendo che in questo modo si peggiorerà solamente la situazione. Allo stesso modo, se un'azienda sa che una persona è in difficoltà economiche, non le mostrerà pubblicità sui vestiti di lusso, ma neanche quelle su abiti dai prezzi accessibili. Si viene a formare una sorta di differenziazione sociale tra i ricchi e i poveri.
In Cina si è andati anche oltre. Un progetto pilota portato avanti dal governo con alcune aziende locali, raccoglie i dati sulle abitudini di consumo degli utenti con altre informazioni come la dichiarazione dei redditi, e assegna a ogni cittadino un punteggio "sociale". Questa sorta di voto viene poi utilizzato dalle banche per concedere un prestito o per bloccare la carriera della persona.
12 febbraio 2018