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Internet of Things, cinque problemi connessi ai gadget connessi

Non solo vantaggi. Il sempre maggior utilizzo di dispositivi connessi fa sorgere problemi di diversa natura, che vanno dalla sicurezza alla privacy, passando per la manutenzione

Internet of Things

Nonostante la sua "giovane età", l'Internet of Things è una delle tecnologie (nonché una tendenza) a maggior tasso di crescita nel mercato dell'hi-tech. Secondo un'ormai celebre statistica e previsione di Morgan Stanley, entro il 2020 nel mondo ci saranno ben 75 miliardi di dispositivi connessi, pronti a raccogliere dati in ogni dove e metterli a disposizione degli utenti.

Bisogna però fare ben attenzione: non è tutto oro ciò che luccica. L'Internet delle Cose non è esente da rischi, pericoli e problematiche: un utilizzo errato, infatti, potrebbe provocare problemi alla salute, o mettere in pericolo la privacy degli utenti. Insomma, quando si ha a che fare con dispositivi connessi, raggiungibili da

Problema 1: crescita troppo rapida

La crescita senza pari dei dispositivi smart e connessi alla Rete, però, pone un problema non da poco. Se fino a qualche anno fa le tipologie di dispositivi IoT potevano essere contate sulle dita di una mano, oggi ogni oggetto di uso quotidiano può avere (ed ha) connettività alla Rete. Si va dai più "ovvi", come elettrodomestici e altri dispositivi per la casa domotica (i condizionatori, ad esempio), ai meno ovvi e più bizzarri (come i dispenser di cibo per cani).

 

I wearable sono una delle tante tipologie di dispositivi connessi disponibili

 

Questa sovrabbondanza, però, può portare a una saturazione della banda di comunicazione e delle dorsali e a un rallentamento delle telecomunicazioni su scala mondiale. Se le tecnologie di connessione (come il Bluetooth 5 o il Wi-Fi HaLow) non cresceranno di pari passo, l'Internet of Things rischia di mettere KO Internet.

Problema 2: privacy a rischio

Molti dispositivi IoT sono progettati e realizzati per spiare (nel senso buono del termine, sempre se esiste) gli utenti che li utilizzano. Ciò vuol dire, in realtà, che i vari gadget connessi hanno la capacità di "catturare" i dati di utilizzo degli utenti e di scoprire, in questo modo, le loro abitudini e i loro comportamenti. La vera ricchezza dell'Internet delle cose non sta tanto nella vendita dei gadget e dei dispositivi connessi, ma nei dati che questi sono capaci di "estrarre" e mettere a disposizione delle aziende. L'analisi dei Big data, infatti, consente di scoprire quando e come gli utenti utilizzano, ad esempio, il frigo smart e quali cibi ci sono più frequentemente al suo interno; dalle smart bulb è possibile conoscere quando gli utenti sono in casa e quando vanno, solitamente, a dormire; i termostati e i condizionatori connessi daranno modo di ricavare informazioni sulle temperature preferite; mentre gli activity tracker saranno utili a reperire dati sulle abitudini di movimento e allenamento di chi li indossa.

 

Hacker all'opera

 

Va da sé, insomma, che ogni singolo dettaglio della nostra vita potrà essere catturato, analizzato e catalogato grazie a uno degli innumerevoli dispositivi IoT che utilizzeremo entro il 2020. Ed è altrettanto immediato che la privacy di ognuno di noi sarà in pericolo: non solo i dati della nostra vita saranno a disposizione dei produttori di gadget IoT e dei loro partner, ma nel caso in cui un hacker dovesse riuscire a bucare le difese informatiche dei server le informazioni potrebbero finire nelle mani sbagliate.

Problema 3: gravi falle di sicurezza

Direttamente legato al problema della privacy, dunque, c'è anche quello della sicurezza informatica. Sia i singoli dispositivi sia i server che conservano i dati possono essere attaccati da hacker e pirati informatici vari alla ricerca di dati e informazioni da rivendere al miglior offerente. In molti casi, poi, la vita degli hacker IoT non è neanche così complessa: come dimostra il motore di ricerca Shodan, in giro per il mondo ci sono migliaia e migliaia di dispositivi connessi alla Rete non protetti da alcun sistema di sicurezza informatica (firewall, password o simili).

 

 

È sufficiente scovare l'indirizzo IP di questi dispositivi (dalle telecamere di sicurezza agli hard disk di rete) per controllarli a distanza e ottenere i dati che più prediligono (registrazioni della telecamera o l'intero contenuto del disco rigido, per restare agli esempi di prima).

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Problema 4: manutenzione e performance dei dispositivi

La velocità con la quale il mercato dei dispositivi IoT evolve e si sviluppa fa sì che la "selezione interna" sia estremamente elevata. Per ogni nuova startup che nasce nel settore, almeno due o tre scompaiono lasciando dispositivi "orfani" in giro per il mondo. Sorge, in questo caso, un problema di manutenzione: ogni volta che una startup chiude i battenti, infatti, i dispositivi creati e immessi sul mercato restano senza qualcuno che se ne prenda cura. Non ci saranno aggiornamenti di firmware, né nuovi software per sfruttarne al meglio le potenzialità: ciò li espone a rischi di attacchi hacker, mettendo a repentaglio dati e informazioni degli utenti. Insomma, anche in questo caso la privacy di chi utilizza gadget connessi è a rischio.

 

Internet of Things,
  salute a rischio

 

Problema 5: affaticamento digitale

L'essere continuamente connessi e rintracciabili ha sicuramente i suoi vantaggi (si possono reperire le informazioni di cui si ha bisogno online, ad esempio), ma anche parecchi lati negativi. Al di là degli "attentati" alla privacy, infatti, bisogna tener conto che il continuo ricorso a gadget connessi e dispositivi IoT può portare a quello che in gergo tecnico è definito "affaticamento digitale". La sovraesposizione (e il sovrautilizzo) a device come lo smartphone o wearable di qualunque genere può portare ad affaticamenti sia a livello mentale sia a livello fisico: si pensi, ad esempio, alla postura che si assume ogni volta che si controlla notifiche e messaggi sullo smartphone. A lungo andare, la cosiddetta postura text neck (collo da messaggio) può portare a problemi di scoliosi o cervicalgia e peggiorare sensibilmente la nostra qualità di vita.

A cura di Cultur-e
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