Da anni, ormai, si parla delle potenzialità del grafene e di come questo "supermateriale" potrebbe cambiare la nostra quotidianità. Grazie alle sue caratteristiche fisiche – materiale bidimensionale estremamente resistente ma allo stesso tempo flessibile, trasparente e con un alto indice di conduttività elettrica – il grafene può trovare decine di applicazioni in ambito tecnologico.
Può essere utilizzato, ad esempio, per realizzare schermi flessibili e batterie flessibili, rendendo così possibile la progettazione e ideazione di smartphone (o tablet) pieghevoli e più compatti di quanto già lo siano oggi. La conduttività e la trasparenza del grafene, inoltre, rendono possibile la creazione di sensori impronte digitali e sensori per la frequenza cardiaca ad altissima precisione e posizionabili, di fatto, in qualunque punto del dispositivo (anche su tutta la superficie dello schermo, volendo).
Il grafene, insomma, ha tutte le carte in regola per recitare il ruolo da protagonista nel mondo hi-tech negli anni a venire. Dalle batterie al grafene agli schermi flessibili, nei prossimi anni molti dei device mobili e indossabili che utilizzeremo avranno un'anima agli atomi di carbonio.
Schermi flessibili al grafene
FlexEnable è una startup britannica con sede a Cambridge e specializzata nella realizzazione di schermi flessibili da utilizzare nei wearable device, dispositivi mobili e all'interno delle automobili. Il loro ultimo display, neanche a dirlo, utilizza il grafene: si tratta di una matrice OLED "poggiata" su un'infrastruttura di atomi di carbonio perfettamente trasparente. Questo permette di realizzare schermi grandi diversi pollici, altamente flessibili e con una gamma di colori molto ampia. Insomma, l'ideale per dispositivi indossabili capaci di rimpiazzare smartphone e tablet in un colpo solo.
Sensori di impronte digitali ultraveloci
Se pensate che l'ultimo Touch ID montato dall'iPhone 7 sia ultraveloce, la "solita" FlexEnable è qui per farvi ricredere. La società britannica, infatti, ha realizzato un sensore impronte digitali che, sfruttando l'alta conduttività del grafene, è in grado di realizzare immagini delle impronte in tempo reale. Inutile dire, ovviamente, che questa invenzione può avere le applicazioni più disparate: un sensore così veloce, ad esempio, potrebbe essere utilizzato nelle automobili al posto della chiave di accensione (sistemando, magari, una rete di sensori direttamente sul volante) oppure rendere finalmente realtà le cosiddette smart gun (sensori impronte digitali montati sul grilletto e sull'impugnatura permetterebbero di attivare la pistola solo se impugnata dal legittimo proprietario).
Batterie grafene eterne
La ricerca sulle batterie al grafene va avanti, ormai, da diversi anni e si pone l'obiettivo di mandare in pensione le vecchie (e pericolose) batterie agli ioni di litio per dispositivi mobili (smartphone in testa, ma non solo). Ultimamente, dalla combinazione del grafene con altri materiali hi-tech come l'alluminio, è stato possibile realizzare accumulatori caratterizzati da due caratteristiche: velocità di ricarica e una sorta di "immortalità".
Zap&Go, startup attiva nel campo delle batterie esterne, ha mostrato un prototipo realizzato da 50 sottilissimi fogli di alluminio "impilati" e tenuti insieme da una struttura realizzata con inchiostro di grafene. Sfruttando l'estensione superficiale dell'alluminio e la conduttività del grafene, è possibile caricare completamente una batteria del genere nel giro di pochi secondi: nel caso si sia di fretta, sarà sufficiente ricaricare la batteria esterna e poi collegarla allo smartphone mentre si va a lavoro. La grandezza di questo accumulatore (è necessario che i fogli di alluminio abbiano una superficie estesa) non è affatto un problema: potrebbero essere utilizzati all'interno di aspirapolveri hi-tech e hoverboard per dispositivi pronti a funzionare nel giro di pochi secondi.
Non solo. Una batteria di alluminio e grafene non soffrirebbe del cosiddetto effetto memoria. Quindi, a differenza delle batterie agli ioni di litio non avrebbero un'aspettativa di vita di 500 o, al più, 800 cicli di ricarica, ma potrebbero essere utilizzate per sempre senza timore che si rovinino o, peggio, esplodano.
I guanti per la realtà virtuale
Il grafene, però, potrebbe giocare un ruolo decisivo anche per lo sviluppo della realtà virtuale. E non solo per batterie grafene che alimentino visori VR senza fili: gli atomi di carbonio possono tornare utili anche per realizzare guanti e altre periferiche ad alta precisione da utilizzare in abbinamento con il proprio visore a realtà virtuale.
Cardiofrequenzimetri invisibili
L'Istituto di scienze fotoniche di Barcellona ha recentemente presentato un sensore per cardiofrequenzimetri dalle potenzialità rivoluzionarie. Sfruttando il grafene, gli scienziati catalani hanno realizzato un sensore per frequenza cardiaca trasparente e flessibile: teoricamente, dunque, può essere montato su qualunque superficie e utilizzato in qualunque momento della giornata. Può "coprire", ad esempio, lo schermo dello smartphone o dello smartwatch, oppure essere utilizzato in dispositivi medici hi-tech per il controllo a distanza di pazienti cardiopatici.
Chip e processori più performanti ma meno bollenti
L'utilizzo del rame nei collegamenti tra transistor e tra gli elementi che compongono gli stessi transistor è uno dei motivi principali che sta portando alla "sconfitta" della Legge di Moore. Riducendo le dimensioni dei transistor per creare processori sempre più performanti e potenti si è anche costretti a diminuire le dimensioni dei vari componenti che si trovano al loro interno, incluse le dimensioni dei cavi in rame che li collegano.
La riduzione del diametro dei cavi, però, porta con sé diverse controindicazioni. La principale è l'aumento della densità di corrente. Un cavo con sezione più piccola, infatti, offrirà agli elettroni una superficie minore attraverso la quale fluire: ciò porta a una maggiore resistenza elettrica del mezzo e, dunque, a una maggiore generazione e dispersione di calore (il cosiddetto effetto Joule, per intendersi). È come se si avessero a disposizione due tubi di diametro differente e si volesse far passare del liquido da un estremo all'altro senza perderne nemmeno una goccia: logicamente, il tubo più grande renderà questo compito più agevole e meno complesso.
Una possibile soluzione del problema è rappresentata dall'impiego di grafene: ricoprendo il rame con un sottile strato di atomi di carbonio, infatti, è possibile diminuire la resistenza dei cavi utilizzati per collegare i transistor all'interno del processore ed evitare, così, che le performance del dispositivo crollino al diminuire delle dimensioni. Questo, almeno, quanto dimostrato da un team di ricerca dell'Università di Stanford (Stati Uniti) guidato dal professor H.-S Philip Wong.
L'utilizzo del grafene, infatti, mitiga gli effetti dell'elettromigrazione e la possibilità che questo fenomeno elettromagnetico provochi dei danni – anche di grave entità – all'interno di chip e transistor. Nei test di laboratorio, i collegamenti di rame ricoperti dallo strato di carbonio hanno una resistenza elettrica dimezzata rispetto ai cavi senza grafene. Un processore di questo tipo, dunque, sarebbe in grado di garantire migliori performance e una maggiore efficienza elettrica: ciò comporterebbe un minor consumo energetico e una produzione di calore inferiore rispetto ai modelli odierni.
(aggiornato il 4 giugno 2017)