Negli ultimi anni ha rivoluzionato il nostro modo di comunicare. Ma soprattutto ha cambiato radicalmente il mondo dell’informazione, sia dal lato dell’utente, nella modalità di ricerca della notizia, sia da parte dei giornalisti, spesso a loro volta utenti. Stiamo parlando di Twitter, il celebre sito di microblogging lanciato nel 2006, in cui la potenza del messaggio è affidata alla sintesi obbligata dai 140 caratteri disponibili.
Solo da qualche anno il giornalismo ha iniziato a sfruttare a pieno le potenzialità offerte da Twitter. Una tappa importante in questa processo è la cosiddetta primavera araba, il periodo di agitazioni che si sono verificate in Medio Oriente e nord Africa tra la fine del 2010 e il 2011. In questi mesi, i social network hanno, infatti, diffuso in tempo reale notizie che non sarebbero mai passate per i canali “ufficiali”, come stampa e tv.
Sia nel mondo che in Italia i giornalisti si sono sempre più serviti del sito di microblogging e sono tantissimi quelli che hanno un account ufficiale. Tra i più seguiti Beppe Severgnini (oltre 300mila follower), Ilaria D’Amico (più di 218mila follower) e Marco Travaglio (quasi 178mila follower). In che modo Twitter ha effettivamente cambiato il mondo delle news? Innanzitutto nella tempestività con cui viene data una notizia: in tanti hanno ribattezzato i tweet “lanci di agenzia 2.0”, individuando come ulteriore punto di contatto la brevità del contenuto. Se finora erano proprio le agenzie a informare per prime , ora il loro ruolo rischia di essere spodestato da Twitter: è accaduto spesso che una notizia circolasse prima sul social network e poi venisse trasmessa dai media. Un tweet non può essere definito una notizia, ma spesso finisce per sostituirla o anticiparla.
I giornalisti si sono, quindi, adeguati a questo nuovo modo di comunicare, caratterizzato da una sempre maggiore brevità e rapidità. Inevitabilmente l’informazione viene “frammentata” e moltiplicata. Con ricadute anche lato utente: se con i media tradizionali, come la tv, è il mezzo stesso a effettuare la selezione, con Twitter è, invece, l’utente a dover orientarsi nel “mare magnum” di tweet e fare, così, una scelta.
Non è tutto oro quel che luccica: per molti tanta tempestività danneggia l’approfondimento, sia nel trattare i contenuti, ma soprattutto per quanto riguarda la verifica delle fonti. La notizia è vera o una bufala? Chi garantisce l’attendibilità dei messaggi? La presenza dei giornalisti all’interno delle reti sociali ha comunque contribuito a rafforzare la fiducia nel mezzo.
Il problema della verifica è importante non solo per l’utente/lettore, ma anche per gli stessi giornalisti che spesso “prendono spunto” da Twitter per le proprie notizie. Un’indagine condotta dall’agenzia di comunicazione Lewis pr ha affermato che solo il 5% dei giornalisti intervistati ripone piena fiducia in questi mezzi, mentre l’8% di essi non si fida affatto.
Nel lavoro di redazione i social network non servono, però, solo a divulgare notizie o a fungere da fonte di ispirazione: molti giornalisti accedono all’account Twitter per promuovere la propria immagine. In particolare, il 38% utilizza i social media per questo scopo, ma non lo ritiene strettamente necessario, mentre il 20% li considera assolutamente irrilevanti per raggiungere il risultato. Il 21%, invece, ritiene Twitter strettamente indispensabile a questa finalità.
Sia per gli utenti che per i giornalisti Twitter è un’arma potente. A fare la differenza, alla fine, è il modo in cui ognuno di noi la utilizza.
31 dicembre 2012