Nell'eterna diatriba tra Apple e Samsung, uno degli ultimi round si è combattuto sulla durata della batteria dei dispositivi della mela morsicata. I creativi della casa sud coreana, in uno spot da sessanta secondi o poco più, descrivono i possessori di iPhone e iPad come dei "vampiri" assetati di energia elettrica e pronti ad attaccarsi a qualunque presa della corrente si trovasse a tiro di caricabatteria. Un modo simpatico, ma allo stesso tempo feroce, di mettere in evidenza le pecche delle batterie ricaricabili di dispositivi della mela morsicata: scarsa capacità, durata esigua, impossibilità di sostituirla se non smontando lo smartphone.
Non che i dispositivi Samsung ne siano esenti: esattamente come tutti i device mobili alimentati a batteria ricaricabile, anche gli smartphone e i tablet sudcoreani possono accusare defaillnces causate dalla batteria. E se da un lato la colpa può essere attribuita ad applicazioni sempre più esose ed esigenti, dall'altro il settore tecnologico è preda di un blocco evolutivo che va avanti da diversi decenni. Mentre SoC, RAM e tutti gli altri componenti interni di uno smartphone o di un dispositivo indossabile vanno incontro a continue evoluzioni e incrementi prestazionali, la tecnologia alla base delle batterie ricaricabili è la stessa inventata nel 1912 dallo statunitense Gilbert Lewis e introdotta commercialmente da Sony nel 1991. Insomma, la tecnologia degli accumulatori agli ioni di litio inizia ad accusare inevitabilmente i segni del tempo.
Così, al di là dei consigli e delle buone pratiche, al giorno d'oggi c'è poco da fare per aumentare la durata delle batterie al litio che alimentano la totalità dei dispositivi portatili oggi in commercio. Così, se il futuro sarà alimentato a batteria, ci attende ancora moltissimo lavoro da fare.
L'arte di arrangiarsi
Sono i produttori di dispositivi i primi a dover fare i conti con una situazione a tratti assurda: se da un lato si fanno una concorrenza spietata a suon di più gigabyte, più gigahertz e più point per inch (punti per pollice, l'unità di misura della densità – e quindi della qualità – dei display LCD e LED, sono praticamente ferme al palo per quanto riguarda la capacità di accumulo e la durata della batteria. E non è affatto un problema da poco: se un telefono cellulare dell'era pre-smartphone era in grado di restare acceso anche diversi giorni, oggi è sempre più difficile arrivare a fine giornata senza dover ricaricare la batteria al litio dei propri dispositivi.
Esemplare il caso Apple: nella sua prima versione, l'iPhone era dotato di una batteria da 1.400 mAh, l'iPhone 5S ha una batteria da 1.560 mAh (sull'iPhone 6 e l'iPhone 6+ non si hanno ancora informazioni, anche se si parla di un'autonomia fino a 24 ore di chiamate). Un incremento di circa il 15% nonostante sia passato più di un lustro tra un modello e l'altro. In questi anni Apple ha lavorato a fondo sull'ottimizzazione del software: iOS 7 è un sistema operativo capace di centellinare ogni energia e sfruttare la carica sino all'ultimo percentile e con iOS 8 sono attesi ulteriori miglioramenti nella gestione della batteria. Questo non toglie, però, che i problemi di carica sussistano.
Lo stesso discorso è valido per gli smartphone Android. Anche se dotati di batterie più capienti (i Galaxy S5 hanno batterie al litio da 2.800 mAh) devono fare i conti con display più grandi – e quindi più esosi – e una minore ottimizzazione hardware-software. Anche in questo caso la patata bollente è stata sbolognata nelle mani degli sviluppatori: con Android L dovrebbe esordire il cosiddetto Project Volta, alcune features capaci di incrementare la vita della batteria anche del 36%.
Problema indossabile
Con i wearable device, il problema si acuisce ulteriormente. Mentre negli smartphone hanno spazio a sufficienza nella scocca per ospitare batterie più o meno grandi (e quindi più capienti), gli smartwatch, gli smartglasses e tutti gli altri dispositivi intelligenti non hanno moltissimo spazio dove mettere batterie più grandi. Pebble, ad esempio, ha provato ad aggirare l'ostacolo utilizzando uno schermo con e-ink anziché un display LED o LCD. LG, che ha deciso di dotare il suo smartwatch di un display ad alta risoluzione, ha una vita media che varia tra le 24 e le 36 ore, dopodiché sarà necessario ricaricare la batteria agli ioni di litio.
Altri, invece, hanno addirittura eliminato il problema rilasciando dispositivi senza schermo e facendo affidamento su smartphone e applicazioni. È il caso di alcuni activity tracker (come lo Shine, Ringly and Jawbone UP24) che, invece di essere dotati di display, sfruttano le capacità degli smartphone per mostrare agli utenti i loro progressi.
E le innovazioni?
Questa capacità di adattamento potrebbe ben presto essere non più necessaria. All'orizzonte, infatti, si prospettano novità piuttosto interessanti e che potrebbero portare notevoli miglioramenti nella durata della batteria.
Il grafene, ad esempio, permetterebbe di realizzare batterie più piccole e leggere e, allo stesso tempo, con una maggiore capacità di accumulo rispetto alle batterie al litio. Ciò vorrebbe dire che, a parità di grandezza, le batterie al grafene potrebbero accumulare una maggior quantità di energia elettrica e aumentare la durata della batteria.
Apple, invece, sembra voler puntare sulle cosiddette fuel-cell, le batterie a combustibile che, utilizzando elementi come il metanolo o l'idrogeno, sono in grado di assicurare un'autonomia molto più lunga rispetto alle batterie attualmente commercializzate.
La batteria, però, non è l'unico elemento che sta andando incontro a notevoli migliroamenti. Una startup statunitense – la Ineda System – sta testando una nuova generazione di microchip che dovrebbe collaborare con il SoC nello svolgimento di alcune funzioni secondarie. Una soluzione già adottata da Apple con i cosiddetti coprocessori M7 ed M8, deputati a raccogliere e analizzare i dati in arrivo dall'accelerometro, giroscopio e altri sensori di movimento. In questo modo si ottiene un notevole risparmio energetico: si evita di sovraccarica di lavoro il processore e di consumare grosse quantità di energia elettrica.
Batterie al grafene?
Intanto dall'Italia arriva una nuova tecnologia per realizzare batterie più efficienti basata sul grafene. Descritta sulla rivista Nature Communications, la tecnica si deve al gruppo di Alessandro Baraldi, docente di Fisica della materia dell'Università di Trieste. Allo studio hanno partecipato ricercatori del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e di Regno Unito, Danimarca e Spagna. ''Il grafene ha l'eccezionale capacità di trasportare gli elettroni a temperatura ambiente e con essi la corrente elettrica'', spiega Baraldi. Questo però avviene quando il grafene è ''da solo'' e finora non è stato possibile combinarlo con un altro materiale senza danneggiarne la struttura e senza renderlo meno efficiente. Per questo, prosegue, ''nei dispositivi elettronici dove il grafene sarà impiegato sempre più diffusamente, come smartphone, schermi flessibili e celle a combustibile, le sue proprietà vengono irrimediabilmente degradate durante il processo di trasferimento dalle superfici dei metalli sui quali viene "cresciuto" alle superfici dei materiali ai quali deve essere abbinato''.
La tecnica messa a punto Trieste riesce a risolvere ilproblema: ''Abbiamo cresciuto il grafene sulla superficie di una lega di nickel-alluminio'', spiega Luca Omiciuolo, primo autore della pubblicazione. ''Successivamente - aggiunge - abbiamo ossidato in modo selettivo gli atomi di alluminio posti al di sotto del grafene fino a formare uno strato dello spessore di circa 2 milionesimi di millimetro (nanometri) di ossido di alluminio, in modo così efficace da ripristinare le proprietà elettroniche che rendono unico il grafene nel suo stato isolato''. In questo modo si è ottenuto un ''grafene di altissima qualità'' che ''poggia su uno strato sottilissimo di ossido e questo costituisce la combinazione ideale per l'uso nei dispositivi elettronici".
Le batterie al litio che durano tre volte di più
Una ricerca portata avanti dalla Rice University potrebbe cambiare per sempre l'utilizzo delle batterie al litio. Per il momento, questo tipo di batterie sono le più utilizzate al mondo: le troviamo sugli smartphone, all'interno dei computer portatili e nella maggior parte dei dispositivi portatili che hanno bisogno di elettricità per funzionare. Nonostante le ricerche portate avanti da centinaia di studiosi, le batterie a litio mostrano dei limiti difficilmente superabili: dopo un po' di tempo l'autonomia inizia a diminuire e a causa dei dendriti possono prendere fuoco. I dendriti sono delle fibre che si formano sugli anodi durante il processo di carica e si diffondono piano piano all'interno della batteria fino a raggiungere l'elettrodo. Quando lo raggiunge, la batteria va in cortocircuito e può esplodere.
Moltissimi ricercatori hanno cercato di risolvere questo problema sperimentando tecnologie differenti. Ma i risultati non hanno portato alcun effetto. La scoperta della Rice University, però, potrebbe cambiare una volta per tutte il destino delle batterie a litio. Per bloccare la crescita dei dendriti, è stato realizzato un anodo sviluppato con un materiale unico creato all'interno dei laboratori dell'Università statunitense. Utilizzando una struttura di legame covalente, unisce un foglio di grafene bidimensionale e dei nanotubi di carbonio per formare una struttura tridimensionale, che impedisce ai dendriti di entrare in funzione.
I ricercatori della Rice University hanno effettuato dei test delle batterie utilizzando l'anodo sviluppato in laboratorio: dopo 500 cicli di ricarica (più o meno due anni di utilizzo di un normale smartphone), la batteria aveva perso solo il 20% di autonomia. Un risultato ottimo. E soprattutto non è stata rilevata la presenza dei dendriti.
29 settembre 2014 (aggiornato al 22 luglio 2017)