Nelle intenzioni iniziali dovevano essere progetti grandiosi, capaci di lasciare un segno nel tempo nei rispettivi settori. Che si trattasse di un sistema operativo, di un computer, di una periferica hardware, di un dispositivo o un videogame cambiava poco: per tutti era già previsto e largamente annunciato un successo epocale, di quelli che avrebbero fatto storia.
La storia, però, ci racconta tutt'altro. Gli annunci continuarono a susseguirsi, in alcuni casi anche per lungo tempo, senza che si traducessero in realtà. Casi come Duke Nukem Forever, Ovation e Phantom sono esemplari: decine di annunci, altrettanti rinvii e il tutto che si risolve in una grande nuvola di vapore e poco più.
Cosa sono i vaporware
Progetti del genere finiscono con l'essere etichettati come vaporware, ovvero come prodotti informatici con ambizioni faraoniche che non riescono però a vedere la luce degli... scaffali. Il termine è un neologismo inglese composto dalle parole vapor (vapore) e ware (merce, prodotto), coniato come parodia beffarda della tendenza degli informatici di aggiungere il suffisso ware a qualsiasi sostantivo. Progettati, sviluppati (in parte) e poi abbandonati, i vaporware affollano i cimiteri informatici ormai da decenni: scopriamo insieme i più eclatanti.
Ovation
Considerato da più parti come il vaporware paradigmatico, come il metro di giudizio da utilizzare se ci si trovasse di fronte ad un sospetto caso di progetto informatico misteriosamente evaporato come acqua al sole. Nel 1983 Ovation Technology, una piccola start-up fondata appena un anno prima, annunciò alla stampa un proprio pacchetto di applicativi d'ufficio capace di sbaragliare la concorrenza dei vari Microsoft Office, Lotus 1-2-3 et similia. Ovation comprendeva un editor di testi, un programma per fogli di lavoro, gestore di database e un client per comunicare con altri computer. Il progetto era grandioso, ma non ebbe una vita molto lunga: Ovation Technology fallì in meno di 12 mesi dopo aver bruciato un capitale di 7 milioni di dollari in promozione e pubblicità anziché in sviluppo del software. Pare, però, che la situazione economica non fosse rosea già al momento dell'annuncio del software e sarebbe servita solamente per trovare nuovi investitori.
Duke Nukem Forever
Lo sviluppo di un software, solitamente, richiede da qualche mese a un anno, al massimo due. Tutto dipende dalla complessità del programma, dalle difficoltà tecniche, tecnologiche ed economiche che si incontrano nel corso del processo di sviluppo e, inevitabilmente, dalle mosse dei competitor. Per questo motivo i continui rinvii di Duke Nukem Forever ebbero un tale risalto sulla stampa di settore e non solo.
Inizialmente previsto per la prima metà del 1998, il lancio del titolo venne posticipato di semestre in semestre e di anno in anno. Il 2008 sembrava dover essere quello giusto: Scott Miller di 3D Realms annunciò ufficialmente il rilascio del nuovo capitolo di Duke Nukem. Ma anche in questo caso la promessa venne disattesa. I continui rinvii valsero al videogame il titolo di “Vaporware dell'anno” assegnato dall'edizione statunitense di Wired nel 2001, 2002, 2005, 2006, 2007 e 2008. Nel giugno del 2010 terminò, finalmente, il calvario di Duke Nukem Forever con il lancio sui mercati di tutto il mondo.
Sega VR
Negli ultimi mesi si fa un gran parlare della realtà virtuale e delle varie applicazioni che potrebbe avere nella vita di tutti i giorni. Si tratta, però, di un tema tutt'altro che nuovo: già nella prima metà degli anni '90 (venti anni fa o giù di lì) Sega era pronta a lanciare un proprio dispositivo per la realtà virtuale: il Sega VR.
Progettato per il sistema di gioco Genesis, il Sega VR venne presentato nel 1993 impressionando, però, poche persone. Al di là dell'estetica molto curata e particolarmente accattivante, le specifiche tecniche lasciavano a desiderare: schermo LCD a colori con risoluzione 320x200 pixel e sistema di rilevamento dei movimenti. I pochi che ebbero la fortuna di provarlo non ne parlarono di certo in termini entusiasti e il progetto venne presto messo da parte.
Atari 2700
L'Atari 2600 è stato uno dei più grandi successi commerciali della storia dell'informatica e del mondo dei videogame. Qualcuno, nei piani alti dell'azienda statunitense, pensò di replicare prendendo lo stesso hardware e mettendolo in un nuovo case, aggiungendo dei nuovi controller, chiamandolo Atari 2700.
Nonostante l'impegno profuso nella progettazione e nella realizzazione dei primi prototipi, l'Atari 2700 non vide mai la luce del sole. E dire che aveva tutte le carte in regola per funzionare: l'estetica del nuovo case era particolarmente curata e i controller innovativi e funzionali, avveniristici per la prima metà degli anni '70. Con un piccolo problema: progettati per essere wireless, avevano un raggio d'azione di circa 300 metri e finivano, inevitabilmente, per entrare in conflitto con gli altri controller e le altre console presenti nelle vicinanze. Il progetto venne presto accantonato e mai più preso in considerazione
Infinium Phantom
Nella presentazione inviata ai media di settore nel gennaio 2003, si prometteva un dispositivo in grado di far impallidire la Xbox, la PlayStation 2 e il GameCube. Con tali premesse, le attese sull'Infinium Phantom non potevano che essere molto alte: tutti gli addetti del settore aspettavano una console performante e con un parco giochi particolarmente ricco.
Sulla carta – quella del comunicato stampa – il Phantom aveva tutte le carte in regola per non disattendere queste aspettative. Si trattava di un computer sul quale girava una versione embedded di Windows XP e quindi in grado di far funzionare tutti i giochi rilasciati per la piattaforma operativa di Microsoft. La parte più interessante, però, era il sistema on demand di Phantom, che avrebbe permesso di scaricare giochi e altri contenuti direttamente dalla Rete, così come accade oggi con gli store per smartphone. I primi prototipi avrebbero dovuto fare la loro comparsa nel marzo di quello stesso anno, per poi approdare sugli scaffali dei negozi nell'autunno del 2003. I prototipi, invece, arrivarono solamente un anno più tardi, ma il tempo del Phantom era ormai passato.
Apple interactive television box
I flop di Apple non sono molto frequenti e, proprio per questo motivo, i suoi fallimenti fanno piuttosto rumore. Nel 1993 Apple tentò di risollevare le proprie fortune lanciandosi nel campo della televisione interattiva. L'Interactive Television Box venne progettato e prodotto in collaborazione con British Telecom e Belgacom e, nei piani delle tre società, doveva essere un gadget elettronico indispensabile e immancabile nei salotti di tutti i loro clienti.
Il dispositivo era un Macintosh LC-475 a 25 megahertz modificato e adattato alle necessità del caso. Inizialmente doveva permettere agli utenti di scaricare contenuti dalla Rete e di vederli con il televisore di casa. Nei primi mesi del 1994 alcuni clienti dei due operatori telefonici poterono testare alcuni esemplari del dispositivo, ma con scarsi risultati. Al termine di questo periodo di prova, più nessuno parlò dell'Apple interactive television box.
Palm Foleo
Sono poche le persone che possono vantare il merito di aver definito e “battezzato” una categoria di prodotti. Jeff Hawkins, fondatore di Palm, è quindi un caso più unico che raro: il suo ingegno e la sua creatività gli hanno permesso di definire addirittura due delle categorie di prodotti più celebri degli ultimi anni. Fu Hawkins, infatti, a definire gli standard per i PDA (personal digital assistant, assistente personale digitale) con il PalmPilot PDA e le linee guida degli smartphone con il Treo smart phone di Handspring.
Ci provò anche una terza volta, ma con risultati piuttosto discutibili. Il 30 maggio 2007 Hawkins annunciò al mondo il Palm Foleo, un notebook progettato per essere sincronizzato e utilizzato in abbinamento con gli smartphone. Il Foleo non venne accolto con lo stesso entusiasmo del PalmPilot e del Treo smart phone: molti lo considerarono solamente come un ulteriore peso nella borsa e poco più. Tre mesi dopo averlo presentato, Palm annunciò l'intenzione di mettere da parte il progetto, ufficialmente per sviluppare e completare la propria serie di telefonini di ultima generazione.
Silicon Film EFS-1
Nel febbraio 1998 Imagek, una piccola società statunitense, presentò al pubblico di una fiera fotografica un dispositivo elettronico da collegare alla base delle loro macchine fotografiche reflex analogiche. Chiamato Electronic Film System (sistema a pellicola elettronica in italiano), avrebbe permesso di trasformare tutte le reflex con pellicola da 35 millimetri in fotocamere digitali capaci di produrre scatti da 1,3 megapixel.
Imagek progettava di poter rilasciare i primi prototipi nel giro di qualche mese e far arrivare il prodotto sugli scaffali nel giro di un anno. Le prime copie, invece, arrivarono solamente tre anni dopo, troppo tardi per poter rappresentare un concorrente pericoloso per le sempre più diffuse (e sempre meno costose) fotocamere reflex digitali.
Project Xanadu
Nel 1960 Ted Nelson, filosofo, sociologo e pioniere della società dell'informazione statunitense, utilizzò per primo il termine ipertesto, riferendosi però a qualcosa di differente rispetto a come lo si intende oggi. Il progetto di Nelson prevedeva un ipertesto nei quali i collegamenti con le altre pagine fossero bi-direzionali – e non univoci, come accade invece oggi – così che due documenti, una volta creato il link, rimanessero legati tra di loro indipendentemente dall'indirizzo di memoria occupato. Nel 1967 l'informatico statunitense diede un nome a questo progetto: Xanadu.
Il primo codice funzionante per il project Xanadu venne presentato nel 1972, ma da allora sono stati fatti pochissimi passi in avanti. Sempre sul limite del fallimento e della bancarotta, il progetto è comunque arrivato ai giorni nostri: Ted Nelson e il suo team continuano a lavorarci su, nella speranza di poter trasformare l'ipertesto Xanadu nello standard utilizzato sul web a livello internazionale.
Vale comunque la pena notare che il codice sorgente per Xanadu è stato rilasciato nel 1999, mentre nel 2011 è stata la volta di XanaduSpace, il programma responsabile per rappresentare i “suoi” ipertesti.
24 marzo 2014